Il taglio dei parlamentari approvato in queste ore sta diventando l’ennesimo scalpo da consegnare alle fauci, mai paghe, mai dome, dell’antipolitica. Un provvedimento contro cui ho votato in Senato per ben due volte e che il cambio di maggioranza, salutare per la vita democratica italiana su molti versanti, non mi impedisce di continuare a ritenere sbagliato e potenzialmente corrosivo dell’istituto democratico parlamentare. Ora, se fossimo in un’epoca sensata, razionale, il tema lo si affronterebbe indagandone le cause e valutandone gli effetti.

C’è una questione complessa relativa all’efficienza del lavoro dei corpi legislativi, di risparmio dei costi della politica, di rappresentatività democratica? Certamente si. Il sistema concepito dai padri costituenti aveva lo scopo, dopo l’autoritarismo fascista, di rallentare il processo legislativo, sottoponendolo a un gran numero di parlamentari suddivisi in due corpi legislativi speculari, dotati delle stesse funzioni. Quel bicameralismo perfetto che Bettino Craxi prima, Matteo Renzi poi, giudicavano non più adatto ai nostri tempi e da superare nel quadro di una riforma organica, con poteri e funzioni nuove da assegnare alle camere e una coerente riduzione del numero degli eletti e dei costi relativi.

La questione dei risparmi di qualche decina di milioni di euro poteva essere un pur benefico effetto secondario ma non era da considerarsi certo la causa, nel senso del movente, dell’idea di riforma delle istituzioni italiane. Il rischio dell’oggi è opposto: tagliando così, banalmente, senza alcuna riforma organica delle istituzioni e senza una già coerente riforma elettorale, il novero dei parlamentari, si lascia intatto un procedimento legislativo che attraversa due camere fotocopia e si toglie rappresentatività democratica ad alcune regioni più piccole, in cui si impedisce tecnicamente alle minoranze l’elezione del parlamentare di opposizione. E, mi sia consentito aggiungere, il taglio avrà come ulteriore effetto la definizione di collegi amplissimi e totalmente sganciati da ogni concreta adesione alle vive comunità territoriali.

Basti pensare che con il provvedimento appena approvato l’Italia diverrà il Paese dell’Unione europea con il minor numero di deputati in rapporto alla popolazione, 0.7 eletti del popolo ogni 100 mila abitanti. E ogni mia valutazione acquista, se vogliamo, ulteriore valore di disinteresse personale, per il fatto che da tempo ho dichiarato che questa mia esperienza senatoriale è la mia ultima esperienza elettiva, di una lunga e fortunata carriera spesa nelle istituzioni, e che gli anni che verranno saranno invece dedicati, oltre che alla mia professione di medico legale, all’impegno civico, non più politico istituzionale.

Da socialista liberale tengo a cuore la rappresentatività, sapendola il cuore della democrazia moderna. Ed è per questo, per tutte le ragioni su esposte, che insieme ad alcuni autorevoli parlamentari, ho deciso di aderire alla richiesta di indizione di un referendum perché sulla legge citata si esprimano i cittadini. Pure consapevole che il sentimento generale sragiona, che ogni riflessione, ogni ponderazione razionale rischia di risultare solitaria e controcorrente, io non cerco gli applausi del pubblico ma coltivo ancora l’idea della forza persuasiva della politica e del ragionamento.

GIANNI PITTELLA

SENATORE