Innamorati persi di quei riccioli neri, di quella faccia da scugnizzo, di quelle gambe robuste che correvano leggere sull’erba e dei palloni che giocava con i colori della fantasia, il cuore napoletano, ll’uocchie ‘e brigante e ‘o sole ‘nfaccia. Diego Armando Maradona. L’angelo azzurro e il demonio bianco. Il pibe. Dieguito. Maranapoli. Sangennarmando. E quella finta che squagliava il sangue nelle vene. Il più grande e il più memorabile. Uno di noi in quegli anni Ottanta. Anni come giorni volati via, anni allegri e depressi di lucida follia. Diamo a Raf quello che è di Raf. C’era qualcosa di diverso e profondo con Diego nei nostri amori a bordocampo. Il fatto è che il ragazzo di Buenos Aires, ma di una bidonville di Buenos Aires, sembrava in tutto per tutto ‘nu guaglione sfaccimmo dei Quartieri Spagnoli, come Fabiuccio Pisacane, o di San Giovanni a Teduccio, dove è nato Totonno, chi Totonno?, ma Totonno Juliano, il capitano mio capitano. Nessuno dei grandi calciatori approdati a Napoli aveva mai avuto quelle "esatte sembianze" del figlio di mamma Tota e papà Toro, sembianze napoletane. Prendiamo Sallustro, nato in Paraguay, ma di genitori napoletani. Era bello, alto, biondo, occhi azzurri. Una star da passerella. Prendiamo Jeppson col fisico svedese di sportivo svedese, un nordico tosto. Prendiamo Vinicio così poco brasiliano, possente e potente, con un testone avveniristico. Giganti quando il cuore prese a battere per il più piccolo, il petisso, Bruno Pesaola, capelli imbrillantinati e faccia partenopea furba, incantatore ironico, santo bevitore e fumatore più del Vesuvio, che a Napoli e al Napoli si attaccò come la cozza allo scoglio. "Napoli è la città dove non ti senti mai solo" diceva il petisso che si considerava un napoletano nato casualmente a Buenos Aires. "Napoli seconda mamma mia" cantava Diego Maradona. Ecco i due piccoletti, alti uguali, 1,65, del nostro cuore partenopeo. Nessun altro, europeo e sudamericano, che col pallone venisse a vivere la nostra vita mille culure è entrato così tanto in questa città che è nu suonno e ‘a sape tutt’’o munno, ma nun sanno ‘a verità. Il petisso e il pibe l’hanno conosciuta e amata la "verità" di Napoli. La felicità dolorosa di Napoli, la fantasia e gli inganni, l’illusione e la luna a Marechiaro, la gloria e l’abisso di tutti quanti noi feriti a morte. Ci saremmo potuti innamorare ancora di un calciatore che sembrasse predestinato a questo incontro con la città di tutte le lusinghe e gli abbandoni? Sarebbe arrivato un giorno un pibe di Svezia, un niño di Spagna, un altro sudamericano, un argentino soprattutto, che ci entrasse nel cuore fuori dai tabellini delle partite e dai segni delle statistiche delle meraviglie del pallone? Amabile ma in tempi confusi il Pampa Sosa. Delizioso ma passeggero il capellone bolzanino Stefan Schwoch. Un signorino Marek Hamsik, napoletano asettico che non seppe mai piegare le dure consonanti slovacche alla dolcezza del dialetto del golfo. Un po’ mercenari il Matador e il Pipita. Ed ecco l’estate del 2013 dell’importatore spagnolo di talenti Rafa Benitez che conduce a Napoli il meglio degli sconosciuti e delle "seconde linee" europee, e José Manuel Reina ha l’aplomb elegante di un fazendero della meseta madrilena, e Raul Albiol ha la grazia degli uomini valenciani, e José Marìa Callejon ha lo stile esatto di un geometra andaluso. Tra loro, un ragazzo di 26 anni, un peso piuma, basso quanto Messi, è Dries Mertens, un mini-belga col faccino insignificante, un po’ fiammingo, un po’ abbacinato dal sole di Napoli, un po’ Pullecenella spaurato d’’e maruzze, un soldo di cacio come si sarebbe detto una volta. E nessuno prevede che il nuovo niño sarà la sorpresa amorosa quando va ad abitare tra il tufo dei fantasmi di Anna Carafa, in riva al mare di Posillipo, il mare di Dudù La Capria e sponta ‘a luna e te vène a vasà. Nessuno immagina che il ragazzino del Brabante Fiammingo sarà preso dalla città stregona che gli entrerà nella pelle e nel cuore, e il ragazzo farà come i romantici viaggiatori di un tempo, si lascerà prendere andandola a scoprire la città stregona giorno dopo giorno. E, ora che son passati sei anni, Dries Mertens, nato nella città belga di Lovanio, tutta linda e pinta, dice: "Sono napoletano". E va "dint’’e viche mmiezo all’ate". Le sue camminate notturne alla scoperta di Napoli che si svela e si nega, e mmiez’’o mare ‘nu scoglio nce sta. E Napoli scopre il suo nuovo amore nel pallone. Diverso da Diego. Un amore meno carnale, assoluto, possessivo. Però lucente, senza ombre. Diego era un amante smodato e protettivo, proteggeva Napoli, entrambi ultimi tra gli ultimi, ma con un sogno nel cuore. Dries, amore di mamma, è il fidanzatino che entra in casa e chiede permesso e poi conquista tutti. Con la sua grazia, i capelli appena spalmati di biondo, tanto Diego era nero, malandrino e tentatore, si ‘o guardate ve fa ‘nnammurà, Dries delicato, leggero, bellillo. Maradona regalava i suoi gol a Napoli, gioielli donati alla città, gioielli rari e splendenti, perché Napoli fosse felice. Dries apparecchia i gol con sentimento, così ha detto, sentimento napoletano certamente, perché Napoli sia allegra. I gol di Diego erano diamanti, gocce rosse di corallo, ametiste. I gol di Dries sono tris di cuori con cristalli, braccialetti, ciondoli a stella. E quando un giorno Dries confeziona il suo gioiello più bello nella porta della Lazio e, alla Lazio, Diego aveva deposto una gemma uguale, il ragazzo belga di Posilipo dice: "Più bello il mio gol o quello di Maradona? Quello di Maradona". Un omaggio gentile e sincero. Con la grazia dei tocchi che accarezzano la rete, Dries Mertens ha creato la sua corona di re del gol, artefice magico nella città di Napoli, e rivaleggia con la corona splendida di Diego per superarla nel numero di pietre preziose. Napoli non si adombra per il primato di Diego che passa a Dries perché ama il piccolo ragazzo belga di Palazzo Donn’Anna, che è diventato un napoletanino di Posillipo e porta la sua corona di gol senza superbia e vanità, più forte di Diego senza offendere Diego che resta l’aquila reale, Dries è la rondine della primavera azzurra. Napoli si è innamorata di Mertens per la semplicità, l’allegria, il sentimento napoletano nei suoi gol, quelle prodezze per gli occhi e il cuore del golfo, e per la leggerezza con cui s’è fatto figlio di Napoli, colibrì delle aree di rigore e napoletano tra i napoletani, lo stesso sorriso e il dono della fantasia, della generosità e della felicità profonda ma fugace come la rete appena mossa da un pallone di incantesimo. Questo è l’amore per Dries dopo la grande passione per Diego. T’aggio vuluto bene a te, tu mm’hè vuluto bene a me. La canzone di Dries Mertens e Napoli. Come la cantava anche il pibe andandosene via un lunedì di Pasqua.