La Camera dei Deputati ha dato il primo via libera alle nuove norme sul 5G. Se l’obiettivo dichiarato del disegno di legge è quello di rafforzare i nostri presidi di cybersicurezza - cosa in principio condivisibile - gli strumenti prescelti, almeno in alcuni casi, lasciano a desiderare. I deputati hanno infatti esteso, ampliato e potenziato il "golden power", cioè i poteri speciali attraverso cui l’esecutivo può intervenire sui settori "strategici". Da un lato si sono inserite le reti di quinta generazione nel novero dei settori esposti alla massima discrezionalità governativa, che già includono - oltre all’industria della difesa e alle infrastrutture cosiddette critiche - ambiti tanto vaghi quanto sconfinati come gli asset "ad alta intensità tecnologica", qualunque cosa significhi.

Dall’altro lato, alle facoltà di Palazzo Chigi si aggiungono quella di intervenire su qualunque "soggetto esterno all’Unione europea" e il diritto di veto sulla "adozione di atti e operazioni" oltre che sulle "delibere" dei consigli di amministrazione. In sintesi, le nuove norme dicono che il Governo può, più o meno liberamente, impicciarsi di qualunque operazione societaria in quasi qualunque settore economico, specie quando sono coinvolti soggetti extraeuropei, a prescindere da chi essi siano e di quali siano le loro intenzioni e i reali rischi per la sicurezza nazionale. Questo va ad allargare una disciplina già molto vaga, come spiega Giuseppe Portonera in un nostro Briefing Paper.

Con quali conseguenze? L’Italia è già un paese che gode di una reputazione precaria presso gli investitori internazionali: i bizantinismi normativi, l’incertezza sui tempi della giustizia e gli alti e bassi della nostra politica non sono certo un buon biglietto da visita. Adesso, a questi elementi ben noti aggiungiamo una norma secondo cui, per dirla crudamente, qualunque investitore estero, prima di entrare nel nostro paese, dovrebbe chiedere e ottenere il permesso del Governo.

Non sappiamo quale sia l’intento delle norme, ma il loro effetto è certamente quello di rendere l’Italia un paese sempre meno intellegibile e sempre meno attraente. Si tratta di una politica scellerata in generale, ma particolarmente grave se calata in una fase di rallentamento di un’economia che non si è ancora ripresa dalla crisi precedente. Se ci sono delle reali minacce alla sicurezza, il Governo fa bene ad avocare a sé poteri adeguati, ma deve circoscriverne le condizioni di applicabilità se vuole risultare credibile: altrimenti, chiunque potrà legittimamente pensare che la sicurezza nazionale sia soltanto la foglia di fico dell’arbitrio del sovrano.