Toc Toc... Nicola Zingaretti si è stufato e cambia schema. All’improvviso esce fuori il segretario del PD che non ti aspetti. È spazientito, forse anche deluso per l’atteggiamento dei compagni di avventura che ogni santo giorno stanno lì a rivendicare una bandierina, un risultato. E non fanno altro che indebolire l’esecutivo. Leggi alla voce Luigi Di Maio e Matteo Renzi. E lui, invece, come una bella statuina, ad incassare, a smussare gli angoli, a cercare di tenere insieme la baracca giallorosso per senso di responsabilità. No, no, da ora in poi Zingaretti dice basta alla narrazione dello scolaro obbediente che incassa e sta zitto. La mossa definitiva che stana tutti, avversari interni ed esterni, si concretizza alle 18 e 26 quando dall’innercircle del capo del Nazareno filtra che "nei prossimi giorni il segretario chiederà il ritiro o la modifica dei decreti sicurezza, come stabilito dal programma di governo". Boom. Non se ne parlava più delle famose misure targate Salvini che avevano già fatto discutere nei giorni della loro approvazione. E che nelle ore della formazione del governo erano state oggetto della contesa tra dem e grillini. Con il segretario del Pd che, in pieno agosto, quando il governo giallorosso era in stato embrionale, evocava la cancellazione delle due misure antimigranti in segno di discontinuità dall’esecutivo gialloverde. E con Di Maio che opponeva una certa resistenza. Si arriva a una sintesi, che prevede l’inserimento della proposta del Pd all’interno del programma dell’esecutivo. Inizialmente, vuoi perché occorre scrivere la legge di bilancio e sterilizzare le famose clausola di salvaguardia, vuoi perché Luigi Di Maio non intende fare retromarcia sulle misure securitarie dei decreti Salvini 1 e 2, il dossier sicurezza sparisce dall’agenda dell’esecutivo. Ora però la musica cambia. Visto che la politica funziona così, a colpi di tweet, di frasi ad effetto, e di uscite utili a risalire la china nei sondaggi, Zingaretti coglie la palla al balzo e contrattacca rivendicando un punto del programma insidioso, che divide i cinquestelle, e che mette in difficoltà anche lo stesso premier Giuseppe Conte. "A differenza di Di Maio e Conte, Nicola lo può dire senza alcuna remora: i decreti sicurezza devono essere cancellati. Nicola non era al governo con Salvini e Calderoli", sospira un alto dirigente del Pd. In un attimo il segretario si riprende la scena. Prima verga una dozzina di righe che pubblica sui social e che hanno il sapore della rivalsa. Con un post scriptum che dice tutto sulla strategia zingarettiana. Eccolo: "Toc, toc…. C’è qualche altro leader che sostiene e che ha voluto questo governo, che lo difende dalle bugie e dagli attacchi della destra?". Non solo si pone come anti Salvini, ma risulta evidente che il messaggio sia rivolto a Luigi Di Maio e Matteo Renzi, entrambi guastafeste, entrambi ogni santo giorno pronti ad alzare il ditino e a sferzare il governo. Non a caso l'altra sera il ministro degli Esteri scrive un post su facebook in cui ribadisce che i risultati della legge di bilancio sono ascrivibili: "[...] se (la manovra) è cambiata molto, se le multe dei pos sono state rimandate e se altre tasse superflue sono state cancellate è grazie MoVimento". Cui poi segue un dettaglio di non poco conto: "Noi siamo al governo per fare le cose. Non ci interessa né la destra, né la sinistra". Ed è un’altra uscita che chiude definitivamente le porte alla potenziale coalizione tra Pd e Cinquestelle. Eppure da ora in avanti Di Maio e company se la dovranno vedere con un Zingaretti diverso, agguerrito, che non indosserà più i panni del leader responsabile che accetterà qualunque cosa, ma pungolerà l’esecutivo in ogni circostanza, seguendo più lo schema contrattuale che era stato seguito all’epoca del governo gialloverde. Insomma, dal Nazareno il messaggio suona più o meno così: la pacchia è finita. Per Di Maio, Renzi e per chiunque altro...