Solo un anno e mezzo fa il M5S, con una campagna elettorale scandita da "onestà, onestà!" e incentrata sulla lotta alle diseguaglianze, alla corruzione, alle mafie, alla spartizione partitocratica di Rai e altri mille enti a nomina politica, otteneva quasi undici milioni di suffragi, il 32,68% alla Camera e il 32,22% al Senato. Contro ogni logica e ogni decenza, Di Maio si accordava con Salvini per spartirsi le poltrone nel governo Conte (1 giugno 2018), e il 1 luglio un sondaggio Ipsos dava la Lega già sopra il M5S, che rapidamente sarebbe tracollata perdendo un elettore su due (17,2% alle europee del maggio 2019). Era ovvio. Del resto al primo occhiolino tra Di Maio e Salvini, il 21 marzo 2018, avevo scritto: "Senza ricorrere a Nostradamus: i cinquestelle perderebbero tutti i voti dei cittadini in rivolta per giustizia e libertà, gli resterebbero solo gli enragés delle partite Iva, ma in quest’orizzonte Salvini (e Berlusconi!) sono i pesci nell’acqua, i grillini di ‘onestà!’ finirebbero naufraghi".

E infatti. Conclusa al Papeete l’esperienza abominevole, Di Maio ruota il M5S da Salvini a Zingaretti (benché non volesse l’accordo sul Conte 2, come Zingaretti, d’altronde), e anzi ufficializza la nuova alleanza con il "cheese!" di Narni. Risultato delle elezioni in Umbria, il M5S al 7,4%. Perciò Di Maio capriola di nuova, mai più candidati comuni alle Regionali, in Emilia-Romagna andiamo da soli. Se davvero, allora, senza scomodare Nostradamus, ripeterà il risultato a una cifra. Di Maio sembra una mosca intrappolata in un bicchiere rovesciato. Può provare a inventarsi tutti i numeri da circo che vuole, non servirà. L’estinzione del M5S è in corso e non può essere fermata. Perché le sue ragioni strutturali sono due, e a nessuna di esse Di Maio, o Casaleggio, o perfino Beppe Grillo, sono in grado di rinunciare. Le avevo indicate anni e anni fa, quando il MoVimento mieteva i suoi primi successi: l’assurda pretesa di non essere né di destra né di sinistra, e una selezioni dei suoi dirigenti con "procedure da X Factor o ‘Amici’ della De Filippi".

L’osceno connubio M5S-Salvini non poteva funzionare perché Salvini costituiva da sempre la destra lepenista (oggi si dovrebbe dire che è il lepenismo a costituire il salvinismo francese), la vocazione al governo pre-fascista, mentre Di Maio continuava a illudersi di poter mantenere il M5S nella sua ambiguità di essere "oltre". E così tra una forza coerente (la Lega di Salvini) e una "né carne né pesce" l’egemonia non poteva che finire interamente nelle mani della prima. Ma andando con il Pd questa ambiguità mortale del M5S resta. Qui ovviamente non parliamo (non ne parliamo più da anni) di "destra" e "sinistra" nel senso politicoso e partitocratico (e spesso anche giornalistico, ahimè), ma in quello sostanziale dei valori e interessi di riferimento, insomma dello schieramento che difende privilegi e promuove illibertà, dove Berlusconi, Meloni e Salvini sono solo varianti becere o ancor più becere (e Renzi la versione presentabile), o di quello che promuove eguaglianza e libertà, più eguaglianza e più libertà, ogni giorno.

Ogni politica fa pendere la bilancia su uno dei due versanti, non esiste l’interesse e il bene generale che accontenta tutti. E le destre, quanto più sono estreme tanto più fanno pendere la bilancia verso le garanzie per il privilegio e l’hybris di illibertà. I fascismi questo sono: dove la patina (o anche la polpa) sociale serve a proteggere i privilegi sviando la collera popolare su capri espiatori (l’ebreo, il migrante) anziché sulle radici di classe. Oggi l’unica forza che manca, nella geografia della politica organizzata, è proprio una forza giustizia-e-libertà, ma il M5S non potrà mai convertirsi in tale forza, l’unica che potrebbe fornirgli un futuro, essendo tutti gli altri spazi compiutamente occupati (con non poche sovrapposizioni). Non potrà perché la sua selezione a roulette, la sua non-democrazia dei likevoti, non consente che nasca al suo interno una classe dirigente con la cultura e la tempra necessarie. Il M5S non potrà che continuare ad allearsi col Pd, checché cianci in contrario, perché l’opzione "ruota di scorta" di Salvini è tramontata per sempre.

Ma è un’alleanza tanto obbligata quanto fatale, una modalità della sua estinzione. A meno che di tale necessità non faccia invece una virtù: rendendo coerente la sua vocazione antipartitocratica ed egualitaria delle origini, e prospettando per l’alleanza M5S-Pd una immersione rigeneratrice integrale e prolungata nella società civile delle lotte di questi decenni e di quelle che forse si profilano, ambientaliste e non solo. Con relativo scioglimento dei rispettivi apparati di potere e apparizione di una classe dirigente nuova al novanta per cento. Miracolo difficilmente pensabile.

Paolo Flores D'Arcais