Diamine, ma dei poveri non parla più nessuno? Come mai? Forse la spiegazione è nei numeri. Quelli di un fallimento colossale. Prendete gli ultimi dati di qualche giorno fa sul reddito di cittadinanza. La notizia è stata silenziata. Invece merita tutta la nostra attenzione, perché vale più di mille analisi politologiche sulla disillusione pentastellata che si manifesta nelle urne. Vediamo. L’Inps dice che sono stati poco più di un milione e mezzo coloro che hanno chiesto il sussidio di Stato. Di questi, 415mila non avevano i requisiti per ricevere l’obolo. Cioè non erano poveri. O non lo erano nel senso codificato dal reddito. Altri 126mila sono nel limbo di color che son sospesi, visto che le loro domande sono sotto esame. Le richieste accolte sono state 982mila. Ora, al netto di criminali, ex brigatisti e finti disoccupati con lavoro in nero - percentuale cospicua, almeno stando agli esiti dei controlli sui percettori del reddito - diciamo che se i veri poveri arrivano a poco più di 900mila è tutto grasso che cola.

Com’è possibile? Appena due anni fa per l’Istat in Italia i poveri erano ben altro esercito: oltre 5 milioni. Che fine hanno fatto? Avranno mica trovato tutti ricovero a casa di Di Maio? Mistero. Buffo ovviamente. Eppure un pezzo decisivo della narrazione grillina di questi anni è stato costruito proprio sul racconto di un’Italia percorsa da torme di poveracci rovinati "da quelli che c’erano prima", mentre chi si permetteva di tenere educatamente il ditino alzato per chiedere la parola e spiegare che forse "poveri" era un termine un tantino generico, veniva sommerso da contumelie e improperi all’insegna del detto popolare che chi ha la panza piena non crede a chi la panza ce l’ha vuota. Giusto. Giustissimo se si discute di singoli o di gruppi d’individui. Molto meno se si pretende di estendere l’antica saggezza popolare all’universo mondo italico. Ma tant’è.

Il risultato è che gran parte dei poveri, aboliti dal balcone di palazzo Chigi in una memorabile comparsata di Giggino e soci, sono tutt’altro che spariti: semplicemente non sono mai esistiti. Essi sono parte di quell’esercito di lavoratori totalmente o parzialmente in nero che impedisce alla bomba sociale che cova nelle viscere della Nazione di esplodere (fino a quando?). I veri poveri sono invece destinati a restare tali. Com’è noto, infatti, nelle parole dei professionisti della povertà il mitico reddito di cittadinanza doveva essere il primo passo per ottenere un lavoro. Com’è arcinoto, non un solo posto è stato creato. In compenso, il racconto della povertà vera mescolato a quella finta ha consentito agli agitprop degli ultimi di portare avanti un racconto dove verità e bugia si confondevano, manipolando e mistificando a più non posso mietendo voti.

Si potrebbe obiettare che in fondo si è trattato di un legittimo gioco elettorale per accalappiare il consenso dei gonzi. Errore. L’idea di un diritto al reddito - e alla pensione a 62 anni, che è l’altra faccia della stessa medaglia - è figlia della progressiva abolizione della società del sacrificio. E dell’illusione deresponsabilizzante di poter espellere fatica e sudore dal nostro piccolo mondo moderno. Invece di pensare che in Italia gli occupati sono appena il 59% della popolazione attiva e adoperarci per rimediare, continuiamo a impegnare risorse per smettere di lavorare il prima possibile e pagare chi non lavora affatto. Ma così si dimentica una legge fondamentale dell’economia: se consumi ciò che non produci, stai solo accumulando debito. È il frutto avvelenato di chi continua a pensare che la ricchezza debba essere ridistribuita prima di essere prodotta; l’ideologia della decrescita felice, anche se non più declamata, è praticata nei fatti.

Basta guardare il caso dell’Ilva, paradigma della deindustrializzazione galoppante del Sud. Il risultato? Abbiamo perso altri 60mila occupati tra luglio e settembre. Ora che la realtà si prende la rivincita a suon di numeri, la narrazione grillina non funziona più. E i risultati si vedono. Anche nelle urne, con la fuga da M5S. Altro detto della saggezza popolare: non tutti i mali vengono per nuocere…

VINCENZO NARDIELLO