Mi sono chiesta cosa possa dare più fastidio della senatrice Segre. La sua storia così carica di significato, il suo comportamento educato e fiero. Il suo essere divenuta il simbolo del pericolo di una degenerazione collettiva, la rappresentazione vivente del punto più basso di una lenta e inesorabile deriva culturale e umana, l’incarnazione di un passato così abominevole, che rifiutiamo di credere che possa tornare a bussare alle nostre porte. "Sono stata vittima dell’odio e ora sono un simbolo che disturba". Il fatto che d’ora in avanti Liliana Segre avrà due carabinieri che la accompagneranno in ogni suo spostamento e nelle uscite pubbliche, ultimamente sempre più frequenti, è insopportabile: la scorta a questa donna straordinaria, sopravvissuta all’inferno nazista, rappresenta una sconfitta per tutti noi e ci dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che abbiamo un problema che non può essere più sottovalutato.

Viviamo un periodo di imbarbarimento, un mondo al contrario fatto di stereotipi, frasi fatte, ignoranza e pregiudizi; un clima sempre più incline allo scontro che all’ascolto e alla comprensione dell’altro; abbiamo paura di dire che il razzismo e l’antisemitismo esistono ancora perché crediamo di essere diversi, migliori di quanto siamo stati quando già credevamo di avere ragione e di poter gestire tutto e invece siamo stati travolti dal Male. "Questa ebrea di m. si chiama Liliana Segre, chiedetevi che cazzo a fatto (così è scritto, senza h, Ndr) per diventare senatrice a vita stipendiata da noi ed è pro invasione?". "Hitler non ai (ancora senza h) fatto bene il tuo mestiere". "Ebrea ti odio". "Mi chiedo perché non sia crepata con tutti gli altri".

Liliana Segre riceve mediamente 200 messaggi al giorno incitanti all’odio razziale. Fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile e questo cambiamento dovrebbe per lo meno far riflettere. Rispondere "anche io vengo minacciato" come è stato fatto da un noto esponente politico è un metodo (divenuto consueto e molto fastidioso) utilizzato per sminuire l’altro, ridimensionare l’accaduto, fino a normalizzare una questione che non è normale, se una sopravvissuta a un campo di sterminio dovrà girare (a 89 anni!) con due carabinieri al seguito. Stiamo parlando di lei, della Storia, di una fase orribile e infame che non è poi così lontana, se lei stessa è ancora qui a raccontarcela e non è paragonabile a niente. Le minacce e gli insulti devono essere stigmatizzati e non paragonati ad altri, soprattutto dalla politica che dovrebbe dare l’esempio e insegnare anche attraverso il suo linguaggio.

Con il suo comportamento composto e misurato ("io non odio nessuno. Ho pena per chi odia") Liliana Segre ci insegna che la scorta più efficace per difenderci dall’ignoranza è quella della cultura, del dialogo, del coraggio di chi non si fa spaventare e scoraggiare. Per questo ogni volta che questa donna parla bisognerebbe avere bene in mente la sua biografia. Testimone della Shoah, sopravvissuta all’orrore di Auschwitz: Liliana Segre è nata a Milano il 10 settembre del 1930 in una famiglia ebraica laica. Sua madre muore quando lei ha meno di un anno. È una ragazza italiana come tante, ma è ebrea: a 8 anni viene espulsa dalla scuola, arrivano presto le leggi razziali e la persecuzione.

Non ha ancora 14 anni quando viene arrestata e rinchiusa in carcere, per essere poi consegnata alle SS e deportata con il padre in Germania: dal binario 21 della stazione di Milano Centrale dopo 7 giorni di viaggio viene internata nel campo di sterminio di Birkenau-Auschwitz, numero di matricola 75190 tatuato sul braccio. Anche in questo momento, non è che una bambina ed è sola. Viene liberata dai sovietici il 30 aprile del 1945. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni deportati ad Auschwitz, la Segre è tra i soli 25 sopravvissuti.

SABRINA SCAMPINI