Garantiscono alta qualità, a loro si rivolgono le maggiori griffe italiane. A loro, alle fabbriche dei lavoratori fantasma, grandi artigiani al servizio di un capo reparto, tutti lavoratori a nero. Come i 57 di Melito, nell’hinterland napoletano, non lontano da Napoli. Fantasmi fino all’ultimo fine settimana, pagati 20 euro per 9 ore. Il proprietario della fabbrica – borse e accessori per donne, articoli comunque d’alta moda – li ha nascosti in un caveau blindato quando sul posto si sono presentati i carabinieri del Nas, per normali controlli. In realtà piombati in fabbrica su segnalazione o delazione di qualcuno. La classica soffiata. Nel caveau blindato, per sfuggire ai controlli, c’erano anche una donna incinta di tre mesi e un minore. Ore da soffocati per non perdere il lavoro. Padri di famiglia, varia umanità, costretti a condizioni disumane. Quarantatre operai in nero, chiusi in meno di cento metri quadri, al buio, nel caveau che si poteva aprire solo dall’esterno con una chiave e una combinazione.

Agitati, infreddoliti, in lacrime, mentre i carabinieri ispezionavano la "Moreno srl" di Melito di Napoli, specializzata nel confezionamento di pellami per le grandi marche. Una delle tante fabbriche in Campania che fanno ricca la moda italiana. Proprio così, il made in Italy. Il modello è quello cinese. L’eccellenza italiana prodotta dentro garage e laboratori. Lo sfruttamento come regola basilare. Come pure la garanzia di alta qualità. Bassissimi però i salari, ma chi sono i committenti? Difficile risalire ai committenti, quasi impossibile. Un cerchio che si apre e si chiude. In maniera drammatica per quanto riguarda condizioni di lavoro e salario. Una delle tante facce dello scandalo italiano al Sud.

Basterebbe niente per scoprire il vaso di Pandora. Lavoratori in nero, però stabili. Cinquantasette su 78 al momento dell’incursione dei carabinieri del Nas. Una media perfetta, secondo il pm. Lavoratori in nero, pagati malissimo, ma regolarmente ogni mese. Finiti ora in mezzo alla strada? Forse no, chissà. "Li assumeremo", garantisce l’azienda fornitrice di griffe della moda. Diretta da Francesco Greco, la Procura di Napoli ipotizza intanto il sequestro di persona nei confronti di Vincenzo Capezzuto, 42 anni, legale rappresentante della Moreno srl. L’imprenditore è agli arresti domiciliari: è lì che ora vuole assumere tutti gli operai. L’iter è partito, pare siano già iniziate le visite mediche. Il sequestro di persona? Il legale di Capezzuto contesta la tesi del pm, "nessuno li ha costretti a entrare lì dentro". I lavoratori sostengono di essere stati aggrediti dal panico all’arrivo dei carabinieri e di essere entrati "spontaneamente nel caveau nel tentativo di scappare". Argomentazioni omertose a tutela del posto di lavoro. "Stavamo facendo borse, non falsi e neppure la droga. Ci siamo ritrovati i carabinieri dappertutto, circondati. Persone che gridavano, ci siamo buttati nel caveau. Chiunque poteva comunicare con l’esterno, nessuno si è sentito male".

Ma questa è l’asserzione di un paio di lavoratori, interrogati dal cronista di Repubblica, Dario Del Porto. Un blitz riuscito in pieno. Proprio come nei film. Il giudice non crede che i lavoratori siano entrati spontaneamente nel caveau. Al contrario, li ritiene succubi dell’imprenditore indagato, ora gli arresti domiciliari. "Persone disposte a lavorare in precarie condizioni per una paga irrisoria". Il gip, nell’ordinanza, cita la testimonianza di un’operaia di vent’anni, residente a Scampia. Ha dichiarato ai carabinieri "gli operai erano stati fatti scendere dal datore di lavoro ed erano poi stati chiusi per ore nella stanza al buio". Il gip aggiunge in piena coscienza "non si comprende come anziché uscire dalla porta di servizio, si siano recati come un gregge all’interno del caveau". Il titolare Capezzuto assicura di non sapere che una delle lavoratrici, Anna Romano, fosse in stato interessante. La madre dell’operaia conferma che la figlia "ancora non aveva comunicato al padrone di essere incinta". Dichiarazioni di comodo o che cosa? Frasi che tendono con chiarezza scagionare il padrone. "Anche un’altra mia figlia lavora lì, è in regola. Le hanno sempre trattate bene".

Intanto, non cambia nulla. L’altro giorno le due donne si sono spaventate davvero. Ma il problema vero appare con tutta la sua forza e con grande evidenza sullo sfondo di questa amara vicenda di sfruttamento e precarietà. Il settore è in grave crisi. Le grandi griffe pretendono lavori di qualità, però mal pagati. Pochissimo, 20 euro, per poi rivendere gli articoli a prezzi altissimi. Il lavoro, poi. Manca, non c’è. Nell’hinterland di Napoli, Sant’Antimo, Sant’Arpino, Frattamaggiore, Villaricca, Caivano, l’ottanta per cento degli operai è in nero. Il problema riguarda tutto il Sud, non solo la Moreno srl di Melito. L’ossigeno e il veleno anche in Puglia. Barletta, Foggia, Martina Franca, Molfetta, Terlizzi, Tricase…

Franco Esposito