Aurelio De Laurentiis nel Napoli è un uomo solo al comando come è stato Matteo Renzi in politica. Se il Pd era Renzi, il Napoli è De Laurentiis. Il presidente azzurro deve ora evitare per sé la caduta che stroncò il politico fiorentino nel 2016. Questa stagione ha aperto una profonda crisi nel Napoli, il primo vero periodo duro per il presidente cinematografico. Con i risultati che sono venuti a mancare, in pratica il fallimento dell’operazione Ancelotti, la stagione fortemente compromessa apre scenari preoccupanti per il futuro. C’è una squadra da rifondare, ripulendola dei giocatori più anziani, di quelli in scadenza di contratto, dei "rivoltosi" del 5 novembre, di quelli più richiesti sul calciomercato per fare cassa. È in dubbio la permanenza di Ancelotti. A fine stagione prevarrà eventualmente più la decisione del tecnico di troncare il rapporto col Napoli con un anno di anticipo piuttosto che la volontà di De Laurentiis di esonerarlo ponendo fine a un sodalizio di stima che sembrava una assoluta garanzia per la vita del Napoli. Si prevedono gli "addii" di Callejon, Mertens, Insigne, Koulibaly, Allan, Zielinski, Hysaj, Maksimovic, Llorente, in bilico Fabian Ruiz.

Il Napoli non paga solo una profonda crisi tecnica. Tramontato il periodo felice, fra alti e bassi nei rapporti tra il presidente e gli allenatori, tra presidente e squadra, è venuta a galla la fragilità di un club che si sostiene su una sola persona (il presidente) e non ha quegli ammortizzatori (dirigenti capaci e di personalità) in grado di fare da "cuscinetto" nel club prevedendo e attutendo malcontenti, richieste e insofferenze che sono normali momenti di tensione nella vita di una società di calcio, dirigenti esperti capaci anche di frenare le intemperanze presidenziali, spesso sopra le righe, che hanno più volte compromesso i rapporti società-allenatori-giocatori-tifosi. Manca nello spogliatoio azzurro una figura intermedia che sia di aiuto allo stesso allenatore, che abbia una specifica sensibilità nei confronti dei giocatori (spesso bambini capricciosi) e non sia esclusivamente la voce del padrone. Un amico intelligente dei giocatori, formalmente super partes, e collaboratore prezioso della società. Questa figura non può essere Giuntoli, operatore di mercato, non può esserlo un figlio del presidente, non può esserlo l’allenatore in seconda se è figlio dell’allenatore in prima. Il Napoli è solo e si protegge poco con una comunicazione insufficiente, affidata a voci interne ed esterne spesso rozze e banali. La sua comunicazione è zero se non viene fuori il presidente a gola spiegata. È un altro limite dell’immagine del club.

SOCCER

Il Napoli è una squadra senz’anima e una società senza identità. Nel calcio moderno, tutto soldi e speculazione, ci sta. A Napoli è la fine di un sentimento popolare. La squadra non ha un’anima mentre perde quel nucleo di giocatori compattati ed esaltati da Sarri ormai alla fine dell’avventura azzurra. Non ha un’anima perché Ancelotti non ha saputo dargliela stravolgendo sempre la formazione che andava in campo (ha subìto l’invito di De Laurentiis di fare giocare tutti), non ha dato alla squadra una precisa connotazione tecnica e la necessaria compattezza tattica e non ha creato un gruppo fortemente motivato (una volta c’erano i titolarissimi) che fosse la spina dorsale della squadra e il nocciolo duro dello spogliatoio. La società ha cancellato ogni memoria del passato, una storia di grande passione popolare. Ha ignorato i 90 anni del club. Tiene a distanza tutto ciò che è stato il Napoli. De Laurentiis, gennaio 2012, è stato chiaro e brutale: "Ma che c … avete vinto a Napoli? Se mi rompete i c …, io me ne posso tornare in America. A Napoli non funziona un c … e per questo mi dovete ringraziare". Il Napoli è retto da una gestione familiare, autarchica per ridotte disponibilità finanziarie. Rinato come Soccer Napoli, dopo il fallimento, avrebbe dovuto continuare a chiamarsi Soccer Napoli De Laurentiis. È una società padronale contro tutto e contro tutti, isolata. Chi entra nella Juve, nel Milan, nell’Inter, nella Roma entra in una storia sempre molto percepita, chi entra nel Napoli entra in un vuoto e si allena a 40 chilometri da Napoli. Il club non ha una sede in città e ha un presidente peripatetico tra Roma e Los Angeles che accentra tutto.

POPOLARITÁ

Aurelio De Laurentiis ha salvato il Napoli dal fallimento portandolo ai vertici del calcio italiano con una presenza costante in Europa. Ma il suo credito è finito perché il Napoli gli ha dato una popolarità che non riscuoteva da produttore cinematografico (portando il cognome dello zio Dino, un gigante del cinema). Col Napoli ha conquistato quotidianamente pagine di giornali e presenze televisive. Nessuno lo filerebbe se avesse preso il Bari (che ha preso in seconda battuta). Il Napoli è il suo fiore all’occhiello, la principale attività che non merita il suo distacco da padre-padrone (parla più da romano che da napoletano che non è). Tutto merito suo se col Napoli ci guadagna (i notevoli dividenti della s.p.a. azzurra), ma è irritante la spocchia con cui si pone sfruttando un marchio, Napoli, superiore al cognome e alla sua storia personale.

IL MIGLIORE

Di fronte al massiccio ingresso nel calcio di multinazionali e ricchi uomini d’affari arabi, russi, cinesi, americani, Aurelio De Laurentiis da solo nel Napoli con un patrimonio non rilevante (calcolato in 200 milioni di euro) è però in assoluto il migliore imprenditore del pallone. In pochi anni si è impadronito di una buona conoscenza calcistica e intesse rapporti con i più abili personaggi del mondo del calcio. Ha azzeccato gli allenatori e condotto personalmente l’acquisto di due eccellenti campioni, Cavani e Higuain. Ha realizzato cospicue plusvalenze cedendo gli stessi Cavani e Higuain, ma anche Lavezzi, Quagliarella, Victor Ruiz, Gabbiadini, Pavoletti, Jorginho, Vinicius, Inglese. Dal 2004 al 2019, ha acquistato giocatori per 833,6 milioni di euro. È entrato nel calcio da neofita, si è imposto da imprenditore capace. Avendo indiscusse qualità imprenditoriali, è da ritenersi che non sia entrato al buio nel mondo del pallone, ma che attraverso i numerosi consulenti abbia fatto bene i suoi calcoli e sinora tutto è stato molto positivo. Il "modello De Laurentiis" nel calcio va bene fin quando le cose vanno bene. Ora è un momento difficile. Non è entrato nel Napoli per vincere scudetti ("il mio obiettivo è di restare nei primi cinque posti, fine dei giochi" da una sua dichiarazione nel gennaio 2012) e non è disposto a dissanguarsi con acquisti proibitivi (il Napoli dopo Maradona è fallito). È entrato nel Napoli da imprenditore, non da tifoso. Ha fatto tesoro della resa di Moratti e Berlusconi, costretti a lasciare Inter e Milan per l’insostenibile condizione d’essere ancora competitivi. In un calcio di bilanci truccati e debiti pesanti, De Laurentiis è l’unico presidente col bilancio in regola e in attivo.

PALLONE D’ORO I

n sedici anni, la conduzione amministrativa di De Laurentiis è stata eccellente con buoni risultati sportivi (quattro secondi posti, due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, sette partecipazione Champions, due volte negli ottavi di finale). Il Napoli, società per azioni, non solo non ha contratto debiti, ma ha distribuito notevoli dividendi ai sei consiglieri di amministrazione del club (Aurelio De Laurentiis, i figli Edoardo, Valentina, Luigi dal 2015, la moglie Jacqueline Baudit, Andrea Chiavelli). Dal 2005 al 2018, l’attivo di bilancio del Napoli è stato complessivamente di 98 milioni di euro che, divisi per i sei del consiglio di amministrazione, fanno un guadagno di 16 milioni a testa (media di 2,7 milioni l’anno). Ecco i risultati di bilancio del Napoli: - 7 milioni nel 2004-05; - 9 milioni nel 2005-06; + 1,5 milioni nel 2006-07; + 12 milioni nel 2007-08; + 11 milioni nel 2008- 09; + 343mila euro nel 2009-10; + 4 milioni nel 2010-11; + 14 milioni nel 2011-12; + 8 milioni nel 2012-13; + 20 milioni nel 2013- 14; - 13 milioni nel 2014-15; - 3 milioni nel 2015-16; + 66 milioni nel 2016-17; - 6 milioni nel 2017-18.

CINEMA D’ARGENTO

Il Napoli fattura oltre 300 milioni e Forbes, l’accreditata rivista statunitense di economia, lo ha inserito tra i primi venti club calcistici del mondo. Nel bilancio Filmauro (l’azienda di De Laurentiis), il Napoli rappresenta l’84% della produzione, il cinema il 13%. Pallone d’oro e cinema d’argento. Per dire: il film "Benedetta follia" ha incassato 8,4 milioni di euro, una cifra "ridicola" nel calcio. C’è da chiarire che la Filmauro non impiega i soldi del calcio nel cinema.

LANCILLOTTO

Il più fidato a valoroso cavaliere di re Artù ha questa assonanza col tecnico del Napoli. Lancillotto/Ancelotti. Il cavaliere alla ricerca del Graal lo intravede, ma perde conoscenza, fugge, e, scoperta la relazione con Ginevra, assalta la corte e uccide molti cavalieri di re Artù. È un po’ la storia di Ancelotti a Napoli che intravede il Graal dello scudetto, ma ne perde la conoscenza e uccide molti giocatori della squadra di re Aurelio. La crisi tecnica del Napoli non può che avere un responsabile. Non devono fare ombra il nome e la storia gloriosa di Ancelotti che non sono in discussione. Conquistato l’anno scorso il secondo posto, a -11 dalla Juventus, per mancanza di concorrenti (Atalanta e Inter dietro a -10, Milan a -11, Roma a -13), Ancelotti dopo l’annata di assestamento ha fallito la seconda stagione tradendo le dichiarazioni estive: il Napoli "è una squadra bellissima", il calciomercato "è da 10", la squadra lotterà per lo scudetto. Ha avuto un Napoli più forte dell’anno precedente come da sua ammissione. Che cosa è successo? Ancelotti è stato sempre nei grandi club, fortemente organizzati, dove i problemi di spogliatoio non pesano sul tecnico, venendo risolti dalla società, e ha avuto sempre grandi giocatori da tenere insieme e ai quali dare poche indicazioni. Non ha dovuto mai "creare" una squadra. Non è stato mai il suo mestiere. Avrebbe dovuto farlo a Napoli, non c’è riuscito.

Il Napoli non è più quello di Sarri, ciclo esaurito, e non è stato mai il Napoli di Ancelotti. Nessuno dei grandi allenatori s’è mai cimentato con squadre medio-piccole, girando sempre al riparo dei grandi club. Quando Trapattoni, dopo sette scudetti con la Juve e gli anni all’Inter, andò ad allenare a Cagliari fallì dopo ventuno partite, costretto alle dimissioni da Cellino. Ancelotti è uomo garbato e tecnico di assoluta esperienza ma in squadre di vertice. Che cosa può e vuole fare a Napoli? Questo è l’interrogativo. Pensare al suo esonero legato ai risultati delle prossime due partite (Milan e Liverpool in trasferta) è sbagliato. Non c’è nessuna alternativa di prestigio alla quale ricorrere. Se c’è ancora il feeling tra De Laurentiis e Ancelotti, superata questa annata, i due possono programmare il futuro, ma il tecnico deve calarsi nelle difficoltà di un club autogestito. Può continuare la sfida con una squadra che, l’anno prossimo, può diventare la "sua" squadra con gli innesti chiesti da lui. Se però è disgustato da quanto è successo in questi giorni, allora il discorso è chiuso e De Laurentiis avrà un doppio problema: un nuovo tecnico e una nuova squadra.

DAVIDE E GOLIA

C’è un disagio accertato dei giocatori con Davide Ancelotti, esperto della parte tattica, che negli allenamenti è molto attivo e in panchina "dirige" la squadra più del padre. Davide è persona di qualità, laureato in scienze motorie, tecnico promettente dopo le esperienze in Inghilterra e in Germania con Carlo. In Italia, il calcio, anzi il mondo-calcio è più complicato e bisogna conoscerlo e averlo frequentato per districarsi nei suoi vizi e nei suoi capricci. Lo stesso Carlo è tornato ad allenare in Italia dopo dieci anni all’estero. Non è detto che non abbia incontrato difficoltà anche lui. Davide Ancelotti ha 30 anni ed è possibile che i giocatori rifiutino di prendere ordini da un coetaneo. C’è anche da considerare che il "secondo" ha una funzione importante tra squadra e allenatore. Può fare da filtro, consigliare i giocatori, mettere sull’avviso il tecnico su determinate situazioni, rimanendo in equilibrio fra le parti. Il figlio dell’allenatore non può avere questo ruolo, è ovvio, perché il grado di parentela stretto lo fa pendere da una parte sola. È anche possibile che Davide, prigioniero della sua condizione familiare, non abbia trovato il modo migliore per rapportarsi con la squadra.

IL FIGLIOLONE

Edoardo De Laurentiis, gran bravo ragazzo (amato da Sarri), ma con minore personalità del fratello Luigi che è al Bari, è presenza insignificante nello spogliatoio azzurro. La giovane età, 34 anni, e la mancanza di esperienza nel calcio e nei rapporti interpersonali, ne riducono il modo di essere e di porsi. La carica di vicepresidente e lo status di figlio del presidente ne condizionano pesantemente la presenza nello spogliatoio. Non ha un vero ruolo. I giocatori lo considerano "occhi e orecchie del padrone" sino alle frasi e agli atteggiamenti riprovevoli avuti nei suoi confronti nei giorni della crisi. Un altro anello debole nello spogliatoio del Napoli.

IL PERDONO

La sosta più che la notte nera del Napoli dovrebbe portare consiglio. La crisi totale si risolve cancellando tutto quanto accaduto, mettendo da parte orgoglio, prese di posizione, rivalse, richieste e tribunali. Il Napoli è a 5 punti dalla zona Champions, in Europa è in corsa per arrivare agli ottavi di finale, ha una Coppa Italia da giocare. Sono obiettivi ancora possibili. Al ritorno da Los Angeles ci vorrebbe un forte e sereno discorso di De Laurentiis alla squadra e all’allenatore. Un grande atto di generosità, un summit di pace, un discorso di pacificazione, nessun processo. Siamo il Napoli, non possiamo farci ridere dietro. Abbiamo sbagliato tutti. Ora a tutti quelli che ci considerano morti dimostriamo di essere tutti insieme in piedi. Deve essere un discorso sincero e appassionato, valutando con tatto i "casi" in ballo con una discussione aperta, smussando i contrasti. È l’unica strada per bloccare la crisi temporaneamente. In mancanza, sarà ‘nu vico niro ca non fernesce mai. Da Los Angeles si attendono segnali confortanti.

INIZIO LENTO

Dopo dodici giornate i punti sono 19 punti (5 vittorie, 4 pareggi, 3 sconfitte, gol 21-15). Negli anni di De Laurentiis, solo tre stagioni hanno avuto un inizio peggiore, ma sono lontane negli anni. 2007-08 – Peggior risultato sotto la presidenza De Laurentiis, ma era il primo anno del ritorno in serie A. Dopo 12 giornate: 15 punti. Classifica finale: ottavo posto, 50 punti. 14 vittorie, 8 pareggi, 6 sconfitte. Gol: 50-53. Allenatore Reja. Giocatori più presenti: Hamsik 9 gol, Lavezzi 8, Bogliacino 3, Paolo Cannavaro, Gargano 2 gol, Sosa 6, Domizzi 8, Savini, Contini, Blasi, Garics 1 gol, Calaiò 2, Zalayeta 8, Iezzo (-28 reti), Grava, Gianello (-20 reti), Cupi, Mannini 1 gol.

2009-10 – Terzo peggior risultato con avvicendamento di allenatori. Dopo 12 giornate: 18 punti. Classifica finale: sesto posto, 59 punti. 15 vittorie, 14 pareggi, 9 sconfitte. Gol: 50-43. Allenatori: Donadoni (7 partite), Mazzarri (31 partite). Giocatori più presenti: De Sanctis (-43 reti), Hamsik 12 gol, Gargano, Maggio 5 gol, Quagliarella 11, Paolo Cannavaro 1, Pazienza 2, Lavezzi 8, Denis 5, Campagnaro 1, Cigarini 2, Aronica, Grava, Zuniga, Rinaudo 1 gol. 2011-12 – Secondo peggior risultato. Dopo 12 giornate: 17 punti. Classifica finale: quinto posto, 61 punti. 16 vittorie, 13 pareggi, 9 sconfitte. Gol: 66-46. Allenatore Mazzarri. Giocatori più presenti: De Sanctis (-46 reti), Hamsik 9 gol, Inler, Cavani 23 gol, Maggio 3, Gargano 2, Dossena 2, Paolo Cannavaro 2, Campagnaro 2, Aronica, Zuniga 2 gol, Lavezzi 9, Pandev 6, Dzemaili 3.

Mimmo Carratelli