Di sicuro c’è solo che assomiglia, se non a un morto, certamente a un tramortito. Il celebre titolo di Tommaso Besozzi per raccontare la fine di Salvatore Giuliano forse si attaglia anche al nostro caso. Parliamo del Pd, per come si mostra attualmente. Proprio il Partito democratico, che non sembra appartenere al mondo del visibile. C’è quindi da sperare in una sua imminente ridefinizione, se non proprio una rinascita, per non dire rifondazione, che sa d’altro, di roba ideologica, così da riferire agli errori, le tare e le assenze del passato, così da mettere finalmente una toppa.

Così anche per chiedere scusa per le banalità spettacolari trascorse: che non torni insomma nuovamente Benigni a baciare, come accade all’Eliseo con Prodi in tempi di retorica ulivista, ed era già un remake, colui che dovrà prenderne le redini, dirigerlo, meglio, indicare una prospettiva, uno spazio, se non, una piazza dove mostrarsi. Una piazza reale, autentica, concreta. Costui, in prospettiva breve, pensandoci bene, non potrà essere Zingaretti, anzi, sarebbe bene che i romani, meglio, il "partito romano" tutto, si tenesse lontano, a debita distanza dalla sua futura direzione.

Perché? Diciamo, volendo essere parchi, per carità di patria, famiglia e rione, se non quartiere, tra Parioli e Prati, poiché questi hanno mancato, volendo essere buoni, diciamo, in comunicazione, hanno mostrato schiuma, laddove invece accorrevano parole nette, hanno mostrato il "ma anche" e nel contempo premiato la propria "bella gente", pezzi glamour da società dello spettacolo tra Cinecittà e il regno dei palazzinari. Premiato talvolta zampironi perfetti, ideali per tenere lontano i migliori; capaci, sempre loro, la bella gente, di far dire anche ai più miti elettori, a occhio e croce, se infine sono arrivati i trogloditi della destra di Salvini dipende molto anche da noi.

Molto, moltissimo, anzi, probabile, per citare un altro titolo paradigmatico, dopo quello d’apertura. Il Pd deve riformarsi poiché l’arrivo del Capitano dei già citati trogloditi, impone, in assenza di altri soggetti politici volenterosi, il compito di costituirsi come opposizione, non un lavoro da nulla, e neppure una punizione in luogo del governo. Opposizione innanzitutto al sentire razzista al nuovo risorgente abbecedario nazionale ridotto a poche infelici parole: Dio, patria, famiglia. Così da parte degli stessi che con il gioco semplice dei populismi attribuiscono ai più poveri, ai migranti, la causa del malessere sociale diffuso, un dispositivo per creare consenso in modo immediato. Per usare un’immagine comprensibile a tutti, prosaica, al momento, il Partito democratico mostra lo stesso spessore progettuale di una pizzata del sabato sera, cui far seguire un film di Pieraccioni o di Siani, e anche quegli altri, la sua argenteria culturale, se ci è concessa un’iperbole, rassomigliano ad altrettanti Pieraccioni e Siani, però d’autore, passati per le Scuole Holden.

Volendo tornare alle parole di Pier Paolo Pasolini che, ragionando d’altre aggregazioni, affermava l’esistenza necessaria di "un paese pulito in un paese sporco, un paese umanista in un paese consumista, un paese intelligente in un paese ottuso", bisognerebbe chiarire, al di là della perduta complessità, che al momento, la priorità politica e organizzativa dell’area progressista riguarda il bisogno concreto di rappresentare tutte le persone – ho detto persone, quindi non penso all’indistinto sociale - pronte a rifiutare la subcultura razzista e para-fascista implicita in ogni parola propria dei sovranisti. Ovviamente, è anche un lavoro di pensiero, d’intelletto, e ci sarà insomma qualcuno, non necessariamente Fabio Fazio, in grado di spiegare che la semplificazione sia dei problemi sia del linguaggio stesso, cominciando dall’indicare come nemico il più debole, sia inaccettabile, pura mistificazione? Scrivo così e provo paura per la retorica del Bene, ma, ripeto, esisterà pure un volenteroso in grado di spiegare, metti, che nel video di Giorgia Meloni dove si scandisce "… sono una donna sono una madre sono italiana, sono cristiana", non brilla alcuna satira, semmai la piccina e provinciale concezione autarchica che riconduce il destino angusto del conformismo clerico-fascista?

Il fascismo decorava le "massaie rurali" e le madri della "campagna demografica" con una medaglia: un piccolo fiocco per ogni figlio consegnato alla Patria. Perfino papa Francesco lo sa. Così come, pensando, si fa per dire, ai "nostri", dovrebbe essere altrettanto chiaro che Antonio Albanese, seppure in divisa di futuro possibile dittatore dello Stato libero delle Sardine, non è George Grosz, l’artista che ha mostrato con i suoi disegni l’orrore della borghesia tedesca che si apprestava a finanziare i nazisti. Apprezzabile, auspicabile allora che il Partito democratico cambi anche nome e simbolo, tolga il rametto penitenziale dell’Ulivo e la lacca artificiale del governismo e della "vocazione maggioritaria" dal suo volto sui muri.

Diventi un soggetto plurale, a ingresso libero. Possibilmente sia invaso da chi ha voglia di fantasia, visto che la parola "congresso" è diventata quasi pornografica tra le mura del Nazareno, forse prendendo per buona la nozione del "no, il dibattito no" di un Nanni Moretti, lo stesso di cui negli ultimi anni si nota il silenzio pizzuto, e non è detto che non sia questo un bene, un dono che egli finalmente ci consegna.

Dice Andrea Orlando: "Le scelte di quegli anni (gli anni della "vocazione maggioritaria", ndr) sono rimaste. E hanno prodotto disuguaglianze e paure. È il momento di rimettere al centro il bisogno di cambiare la forma del capitalismo. Non si vince solo col mito del buon governo". Traduzione in prosa: fuori tutti quelli che sappiamo. Adesso sono arrivate le sardine, ma sarebbe anche altrettanto opportuno chiarire quanto gli antecedenti di queste ultime – Girotondi per la democrazia e Popolo viola e varie ed eventuali e compagnia bella - abbiano rappresentato altrettanta schiuma in luogo di un pronunciamento chiaro, di sinistra.

Dai, incredibile, si è perfino tornato a parlare di sinistra, a nominarla, e non nasconderla sotto il tappeto del kennedismo con l’imbarazzo, appunto, tutto romano e veltroniano che si tratti di una cosa impronunciabile, e in questo senso torna in mente una mirabile prima pagina de "Il Manifesto", le foto da giovani di chi aveva detto di "non essere mai stato comunista" sotto il titolo "Facevamo schifo!". Se mai ci dovessero essere altri giovani nei pressi proprio del Nazareno, senza nulla togliere alle sardine, dovrebbero essere proprio questi, come dire, cercando un’immagine netta, a mettere il silicone nelle serrature delle stanze dei "vecchi" che finora hanno gestito il Partito democratico, una sorta di "grazie lo stesso", da oggi proviamo noi, al limite, almeno falliremo con freschezza.

Ciò che qualche anno fa, lo stesso ideale silicone, con cui era riuscito a farcela Matteo Renzi, forse. Peccato però che quest’ultimo con le stesse aste della sinistra avesse zero da condividere. Qualora i succitati giovani avessero bisogno di un indirizzo di ferramenta dove munirsi di sigillante, bene, spero non si rivolgano a nessuno dei geni che finora hanno creato il deserto della sinistra e del Partito democratico stesso. Insomma, per dirla come pronunciano al Sud, che pesce è oggi il Pd?

FULVIO ABBATE