Il Mes, Meccanismo Europeo di Stabilità, è un fondo nato nel 2011 in occasione della nota crisi del debito sovrano, e alimentato da tutti gli Stati Ue (l’Italia partecipa ad oggi per 14 miliardi di Euro) con lo scopo di supportare l’Area Euro rispetto a crisi finanziarie o bancarie particolarmente gravi. Per questo il Mes ha a disposizione una dote "potenziale" di 700 miliardi di euro. In realtà, in questo momento, ha nel portafoglio solo 190 miliardi, per effetto di una sentenza della Corte Costituzionale Tedesca del 2012. Anche in conseguenza di questa sentenza, il Mes ha altresì alcune regole pratiche non troppo trasparenti: scudo penale per gli organi decisionali, inviolabilità (quasi) assoluta di archivi e locali, incontri non registrati, verbali secretati, obbligo assoluto di riservatezza nei confronti di Istituzioni e magistrature degli Stati Ue con l’eccezione dei parlamentari tedeschi. Guarda caso. Il Mes è dunque una specie di prestatore di ultima istanza dell’Area Euro. In ogni caso, la sua attuale dotazione è insufficiente e lo sarebbe anche se raggiungesse la soglia prevista dei 700 miliardi perché, se ci fossero problemi con il debito di grandi Paesi come la Francia o l’Italia o la crisi di enormi banche tedesche come Deutsche Bank, potrebbe svolgere solo ruoli relativamente marginali. Senza dimenticare che, in tali drammatiche ipotesi, l’Italia dovrebbe versare altri 110 miliardi rispetto ai 14 già versati, con un richiamo da effettuarsi in 7 giorni a sola richiesta del Direttore Generale del Mes stesso. MA NON BASTA Se il nostro Paese vuole spendere anche 1000 euro dopo la negoziazione dei saldi di bilancio di ogni anno con la Commissione Ue, deve tagliare da qualche altra parte. Ma, se deve fare 110 miliardi di debito su richiesta del Mes, questa somma non viene conteggiata nei saldi stessi. E comunque il problema strategico è un altro: in tutte le altre aree monetarie, il prestatore di ultima istanza è la banca centrale di riferimento che può arginare qualsiasi speculazione stampando moneta a oltranza (tipo il whatever it takes di Draghi del 2014). Perché allora fare il Mes fuori dai Trattati e non affidare, invece, alla Bce questo compito come avviene ovunque? Oppure: perché non fare un vero e proprio Fondo Monetario Europeo? Qualcuno dice che questa è la strada intrapresa con questa nuova versione, ma il problema è che il Mes è un organismo privato, fuori dai Trattati, che non risponde ai processi politici e giuridici comunitari. QUALI RISCHI CORRIAMO? Senza entrare nella polemica politica sulla "definitiva" non emendabilità, quali vantaggi abbiamo e quali rischi corriamo sotto scrivendo questa nuova versione del Mes? I vantaggi sono chiari: migliorare questo mega ombrello assicurativo (per quanto condizionato a politiche condivise con la Troika UE) rispetto ai rischi di default è una rete di sicurezza straordinariamente importante in un mondo, quello dell’Area Euro, che ha moneta unica ma non politiche di bilancio, fiscali e militari in comune. Un’assicurazione sula vita. Ci sono però anche diversi rischi di cui dobbiamo essere consapevoli. Primo fra tutti il fatto che, in un recente documento di accompagnamento dell’Eurogruppo, si ventila l’introduzione di una metodologia rigida per calcolare la sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi e la loro capacità di rimborsare i prestiti. Chi sarà responsabile di questo calcolo: la struttura politica della Ue (in cui svolgiamo un ruolo) o la struttura privata del Mes? La risposta è il Mes. Di questo bisogna essere consapevoli. Il secondo problema è quello del meccanismo decisionale, soprattutto se si stabiliscono criteri rigidi con maggioranze rigide per valutare la sostenibilità. Certo, le decisioni più importanti, come la decisione di intervenire a sostegno di un Paese, devono essere prese all’unanimità. Ma perché una decisione possa essere presa è necessario che siano presenti i 2/3 dei Paesi e che questi rappresentino almeno i 2/3 dei diritti di voto. Nel Mes, però, si vota non per testa ma per quanti contributi si versano nel capitale(la stessa regola della "capital key" della Bce). Le Germania vale il 27%, la Francia il 20% e l’Italia il 17%. Per i Paesi più grandi è facile comporre maggioranze favorevoli con qualche piccola alleanza. Un ulteriore passaggio da ricordare. SE IL DEBITO È CONSIDERATO NON SOSTENIBILE Questo è è il terzo problema. L’aiuto può essere erogato solo a condizione che vi sia una ristrutturazione ex-ante del debito stesso. Conseguentemente, assume particolare rilievo un’ulteriore modifica della nuova versione: l’introduzione di clausole contrattuali (single-limb collective action clauses) su tutti i titoli sovrani emessi dal 2022 (i cui dettagli, purtroppo, non sono ancora noti), che dovrebbero facilitare la ristrutturazione avvertendo preventivamente del pericolo gli investitori. Ma cosa penseranno gli investitori stessi che comprano il nostro debito sapendo che esiste il rischio di un "haircut", una ristrutturazione decisa da un organismo privato guidato da poteri decisionali come quelli descritti in precedenza? Quanto aumenterebbe, di conseguenza, il prezzo del rischio su titoli che incorporerebbero già contrattualmente la possibilità di non rivedere il capitale investito? Senza poi dimenticare, come ha osservato il Governatore della Banca d’Italia, che il mero annuncio dell’introduzione di un meccanismo di ristrutturazione potrebbe innescare una spirale di aspettative negative. Anche perché il trading globale sui mercati finanziari è fatto al 75% da macchine. E dunque il dubbio potrebbe essere quello per cui chi progetta questi algoritmi inserisca una stringa di programma che costringa a vendere immediatamente il nostro debito a seguito di una semplice news su richieste al Mes, vera o falsa che sia. Con potenziali "flash crash" sui mercati e possibili, drammatici default. Le reazioni dello spread a questi giorni di polemica politica ci raccontano che forse ci stiamo preoccupando troppo. Ma vale la pena di essere consapevoli prima di firmare un accordo internazionale che regola, al di fuori dei Trattati e del diritto comunitario, processi economici e finanziari strategici per il nostro Paese.