Due associazioni storiche della collettività italiana dell’Uruguay, due destini molto diversi tra di loro. Stiamo parlando del Circolo Napolitano presente nel secolo scorso tanto a Montevideo come nell’interno a Paysandú e, in entrambi i casi, con una propria sede. Andato in rovina e completamente abbandonato da tanti anni, la sede del Circolo Napolitano di Montevideo risalente al 1884 è lì in attesa di essere inghiottita dagli speculatori del business del mattone poco inclini al rispetto della memoria: è quanto denunciava pochi mesi fa sulle pagine di Gente d’Italia l’ong Basta de Demoler, un raggruppamento della società civile che lotta per difendere il patrimonio architettonico uruguaiano.

Quella di Paysandú è invece una storia a lieto fine che merita di essere raccontata. Pochi giorni fa l’Associazione Lucana ha inaugurato uno spazio all’interno della vecchia sede napoletana (presso la calle Florida 930) che servirà per fare ricerca genealogica con la collaborazione del Centro Regional de Estudios Migratorios e Investigación Genealógica (Cremig). L’iniziativa è stata inserita all’interno delle numerose attività per la prima settimana italiana di Paysandú che ha avuto diverse proposte culturali e gastronomiche. Il nuovo spazio gestito dall’Associazione Lucana consiste in una sala de informatica con un sistema che permette digitalizzare diversi tipi di documenti per studi migratori. Uno degli obiettivi previsti è quello di generare un portale aperto alla cittadinanza che raccoglierà una vasta quantità di informazione genealogica degli immigrati che arrivarono a Paysandú.

"Per noi è un grande orgoglio poter recuperare un patrimonio italiano simbolo della nostra città" commenta il presidente dei lucani Juan Maulella che vuole per l’occasione rendere omaggio al "sacrificio dei tanti connazionali che si spesero attivamente per la costruzione di questo immobile con enormi sacrifici". Oltre a ciò Maulella ci tiene a sottolineare anche l’importanza di questo progetto di ricerca genealogica che "è stato presentato nei mesi scorsi in Basilicata con grande soddisfazione". Plaude all’iniziativa anche Flavio Fuccaro del Centro Culturale Italiano che ricorda con grande affetto i grandi pranzi "unitari" che venivano organizzati all’interno della sede del Circolo dove lui partecipava da bambino con la famiglia. "È stato raggiunto un grande traguardo che va a beneficio dell’intera collettività italiana, una parte fondamentale della storia questo dipartimento. Grazie al lavoro dell’associazione regionale lucana molta gente sta tornado a riscoprire l’interesse verso la cara vecchia Italia".

Per capire come si è arrivati a questo riscatto della casa del Circolo Napolitano dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e risalire al secolo scorso. Pochi anni dopo la fondazione dell’associazione che riuniva gli emigrati meridionali, nel 1897 iniziarono i lavori di costruzione della sede. Negli anni successivi furono fatte diverse riforme e, come racconta una ricerca di Andrés Oberti pubblicata su El Telegrafo, l’edificio venne definitivamente terminato nel 1912 ricco di simbolismi con statue e figure legate al Bel paese. Negli anni settanta la grave crisi che colpì il Circolo venne in qualche modo attenuata dall’intervento delle istituzioni locali che salvarono l’immobile dalla rovina comprandolo. Nell’accordo con la Intendencia di Paysandú veniva stabilita la ristrutturazione della sede e il suo nuovo utilizzo per finalità culturali. Nel 1976 venne inaugurato il Museo Histórico Municipal e, dopo alcuni anni di attività, funzionarono all’interno dell’edificio italiano alcuni uffici della direzione di cultura e della scuola di musica municipale.

Nel 2002 la situazione tornò ad essere abbastanza critica e la Intendencia firmò un nuovo accordo, questa volta con l’Università della Repubblica (Udelar) per l’utilizzo della sede come una filiale della scuola nazionale di belle arti. A causa del ritardo nella concessione dei finanziamenti l’accordo venne concretato nel 2007 ma per attendere la fine dei lavori di riqualificazione bisognerà attendere fino al 2018 con il coinvolgimento del Centro Regional de Estudios Migratorios e Investigación Genealógica. I lavori di riqualificazione hanno riguardato praticamente tutto l’edificio ad eccezione della facciata rimasta praticamente uguale rispetto a quella del 1912.

Matteo Forciniti