Ha vibrato come non mai la Sala Zitarrosa in una calda serata estiva dal ritmo travolgente, appassionante. Merito dei Tarantolati di Tricarico, massimi interpreti della musica popolare lucana, giunti in Uruguay all’interno di un tour sudamericano che ha fatto scaldare i cuori dei presenti. Tantissimi quelli a Montevideo che hanno riempito il teatro per l’occasione unica di assistere a uno spettacolo musicale italiano di primo livello come non accadeva da anni. Fondato nel 1975 in un paesino della provincia di Matera, i Tarantolati sono tra i gruppi più longevi del panorama musicale italiano e portano avanti uno stile creativo unico caratterizzato dall’uso di tamburelli, chitarre, cupa cupa e altri strumenti della tradizione musicale lucana. Il loro nome remota a un’antica leggenda molto conosciuta nella zone tra Puglia e Basilicata: si narra che i ragni nascosti tra le spighe di grano pungessero le donne dei paesi trasmettendo loro depressione e dolore. L’unico rimedio, a quel punto, era la musica: ballando fino allo sfinimento al ritmo degli strumenti popolari, i malati, ‘tarantolati’, tornavano alla pienezza della vita. Anche il concerto di Montevideo è stato un rito collettivo, una magica esperienza di cui si farà fatica a dimenticare. Tanta curiosità ha catturato il cupa cupa, un antico strumento musicale costituito da un recipiente, di solito in terracotta, coperto da una stoffa o membrana e una canna lunga e sottile. "Soffregando in su e in giù il bastone si ottiene un suono basso, tremolante, oscuro, come un monotono brontolio" scrisse Carlo Levi descrivendo molto bene questo oggetto. "Ogni recipiente è buono per costruirlo" ha ricordato Rocco Paradiso, uno dei fondatori del gruppo. "Noi per esempio lo creavamo con i bidoni di olio e lo usavamo durante le serenate di carnevale per andare a fare casino in giro. L’unico requisito è che deve essere costantemente bagnato perché l’umidità consente di ottenere la vibrazione che assomiglio molto a un basso". Uno dei momenti di maggiore coinvolgimento nella serata si è avuto durante l’incontro con i tamburi del candombe dell’Orquesta Juvenil del Sodre, un miscuglio ben riuscito di culture diverse che tiene insieme Italia e Uruguay attraverso la musica: da una parte la danza della pizzica, dall’altra l’anima "afro" dell’Uruguay segnata dalla tradizione del ritmo dei tamburi. "Il candombe è stata una bellissima scoperta. La magia dei tamburi non ha lingua" ha commentato a Gente d’Italia il chitarrista Giorgio Pavan al termine del concerto. "I ragazzi hanno provato i brani in poco tempo ma si sono messi subito in totale sintonia con la nostra musica" ha osservato. "Magari, in futuro, sarebbe interessante inserire nel prossimo disco le collaborazioni che abbiamo fatto in Su America". La Basilicata, si sa, è una terra di emigrazione. Non poteva quindi mancare nell’esibizione dei Tarantolati il riferimento a questa pagina di storia che oggi sembra dimenticata con il brano "Andallamerica". "Questo vuole essere un omaggio alle tante comunità italiane che cercano di mantenere il legame con l’Italia. Ci sembrava doveroso farlo qui in Sud America, in Uruguay, dove sono arrivati tanti emigrati" ha spiegato Enzo Granella, voce e chitarra del gruppo. "Durante questo viaggio" -ha proseguito il cantante- "siamo rimasti stupiti nel vedere come l’attaccamento all’Italia da queste parti continui ad essere ancora molto forte con le nuove generazione. Tutto ciò ti fa pensare che le radici sono un qualcosa che ti porti sempre dentro e che non puoi fare a meno indipendentemente dal tempo trascorso".