Ieri ho letto una notizia che mi ha colpito profondamente. A Barletta si è svolto un concorso pubblico per assumere gli operatori ecologici della società del Comune che cura la raccolta dei rifiuti. Voi direte, e dov’è la notizia? La notizia è che i vincitori sono tutti laureati. Il primo è un ingegnere che si è laureato con 110 e lode. E allora non ho potuto fare a meno di pensare che se nel Nostro Posto, per fare lo spazzino, ti devi laureare in ingegneria vuol dire che ormai è scoppiata la guerra, la guerra tra poveri. Accanto a quelli che sperano ancora nel reddito di cittadinanza ci sono quelli che vogliono i respingimenti degli immigrati per paura che le acque portino forza lavoro in grado di sottrarre quelle scarse opportunità che restano ai nostri figli. Sembra un’accusa la mia, ma non lo è. Anzi, sicuramente non sto certo dalla parte delle anime belle che, nei loro salotti eleganti, dopo aver scoperto il "pesce azzurro", criticano, confortati da sicurezze che magari sono il frutto di rendite ereditate.

Io non do la colpa a nessuno e non perché non m’importa di quello che accade attorno a me. Ma appunto perché siamo di fronte alla peggiore guerra di questo secolo, quella tra vecchi e nuovi poveri. Sono i figli di questo tempo di crisi a cui nessuno, per troppi anni, ha dato ascolto, né voce. Una guerra di solitudine e, insieme, di appartenenza. Una guerra quotidiana in cui sono venuti a mancare non solo i soldi per mettere il piatto a tavola, ma pure le certezze, per non parlare dei diritti. Una guerra senza vincitori, soltanto vinti, e un solo arbitro possibile, lo Stato. Perché solo quando le Istituzioni si riapproprieranno del proprio ruolo (che prima di tutto significa essere autorevoli), forse potremo dire di essere sulla via dell’armistizio. Una pace sociale che non si può rinviare perché qui chi sta sempre peggio non ha altro da fare se non affilare coltelli in direzione di coloro che sono ancora più indietro.

I nuovi poveri, dicevo. Non immagino vecchi sfaticati, cresciuti e pasciuti a pane e assistenzialismo. I nuovi poveri hanno il volto dei giovani laureati, delle partite iva, dei precari a tempo indeterminato. Parlo di chi stenta ad avere anche una prima occasione, un primo approccio attraverso un tirocinio, a chi accetta uno stage non retribuito pur di "cominciare ad entrare", dimenticando o facendo finta di non sapere che il lavoro, qualsiasi e a qualunque età, va sempre retribuito. Parlo di chi accetta di essere dequalificato e demansionato pur di non essere licenziato. È da tempo che ho smesso di dire che ciascuno, se capace, dovrebbe poter fare il lavoro dei propri sogni: ma è ugualmente uno strazio vedere laureati che a stento trovano un lavoro in imprese di pulizie, quando ci riescono. Sopratutto è mortificante per chi, come me, crede che la politica, per una Comunità, sia programmazione, progettazione, sviluppo e crescita

. E invece, l’arretramento lo cogli proprio nelle mediocrità - di governo prima ancora che di lavoro - che questo Paese offre ai propri figli, specie al Sud. Ecco perché non ci si può sdegnare se, mancando tutto, in tanti decidono di scagliarsi contro l’altro, contro il prossimo, anche se sta nella loro stessa condizione. Questa guerra è fatta di paura e non ha necessariamente bisogno che qualcuno sbarchi da una costa lontana. Ma certo, se lo vede arrivare, non ha alcun motivo per accoglierlo. Inutile dire che l’altro siamo noi stessi. Perché ormai quello che conta sono i fatti. E i fatti dicono che siamo poveri e soli. Anzi, siamo al buio. E ci resteremo fino a quando non si girerà l’interruttore delle idee, per il lavoro, la buona formazione, lo sviluppo. Questa è la sola azione che può fare la differenza tra la guerra e la pace. Io lavoro per la pace. E chi chiede di governare deve assumere questo stesso impegno. Altrimenti stia a casa. Di profittatori e incompetenti ne abbiamo già visti troppi.

SEVERINO NAPPI