La Legge di Bilancio ha ignorato totalmente le esigenze della cooperazione internazionale allo sviluppo. A cinque anni da una riforma che prometteva di rendere più efficienti ed efficaci le attività di aiuto umanitario, emergenza e sviluppo, i suoi punti qualificanti restano disattesi, con grave danno per questo settore chiave della politica estera italiana.

Dopo le polemiche strumentali delle destre sull’invasione migratoria e la retorica dell’«aiutiamoli a casa loro», a fronte di impegni presi con le Nazioni unite e l’Unione europea, gli ultimi due anni sono stati marcati da una evidente sofferenza e declino. In particolare, la prospettiva per il 2020 negli stanziamenti di settore è quella di tenersi sotto la soglia dello 0,24% del Pil, troppo distante dall’obiettivo dello 0,70% previsto per il 2030. Ci siamo quindi attestati come fanalino di coda dei Paesi Ocse-Dac nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo.

Al di là di questa contingenza, già estremamente grave di per sé, il quadro che ne emerge è critico: nessun adeguamento degli stanziamenti per l’Aps, disconoscendo così, ancora una volta, gli impegni presi in sede internazionale e per l’Agenda 2030. Un altro punto, tutto politico, deve essere evidenziato: non è stata accolta la proposta, senza oneri aggiuntivi nel bilancio, di trasferimento dal ministero degli Interni agli Esteri dei fondi non impegnati nell’accoglienza dei migranti per il diminuito numero di arrivi, che pure sono conteggiati nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo italiano.

La situazione attuale vede inoltre bloccata la piena operatività per Cassa Depositi e Prestiti, la «Banca di Sviluppo» italiana, come fermi sono pure i concorsi per il personale dell’Agenzia Italiana Cooperazione allo Sviluppo. Con organici incompleti e sottodimensionati, in Italia e all’estero, l’Aics vede fortemente compromessa la sua capacità di gestire le attività multilaterali, bilaterali governative dirette e affidate a bando alle autorità locali, università e attori privati profit e no profit. A questi aspetti legati ai finanziamenti ed alla operatività delle cooperazione, si aggiungono però carenze tutte politiche che, per certi versi, preoccupano ancor di più.

Da più di due anni, infatti, non viene convocato il Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo, l’organismo previsto dalla legge che serve da raccordo tra i vari soggetti che operano nella cooperazione, configurando così un gravissimo vulnus nella relazione con partner importanti per questo settore vitale della politica estera. L’Italia è dunque al momento priva di una programmazione strategica triennale sulla cooperazione internazionale, per cui le recenti dichiarazioni pubbliche di esponenti di governo in sostegno al valore e all’efficacia della cooperazione allo sviluppo per affrontare i temi dei cambiamenti climatici, dei conflitti e delle migrazioni forzate, non corrispondono ad un impegno reale: poiché peraltro la delega di vice ministro della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo agli Esteri non è stata attribuita, queste stesse dichiarazioni danno l’immagine di un presenzialismo fine a se stesso.

Per tutti questi motivi, ed altri ancora, appare chiaro come sia arrivato il momento per una seria riflessione sull’insieme della politica estera italiana, sulla sua efficacia e soprattutto su dove il governo e anche il parlamento intendano condurre un sistema-Paese della cooperazione internazionale oggi decisamente allo sbando.

RAFFAELE K. SALINARI