Dopo gli ultimi disastri rimediati dal Conte bis, a partire dalla scandalosa vicenda della gestione da parte italiana del processo di riforma del Mes, è necessario per il bene del Paese che questo Governo faccia le valigie e tolga il disturbo. Dovrebbe essere questo il mantra dei partiti d’opposizione.

Invece, Matteo Salvini prendendo tutti in contropiede lancia la proposta di chiamare tutte le forze presenti in Parlamento a un Governo/comitato di salvezza nazionale. Francamente, ci sfugge la ratio di una tale proposta. Se si tratta di una provocazione tattica per farsi dire di no dai partner dell’odierna maggioranza, transeat. Ma se fosse reale, allora non avremmo altro da dire al leader leghista che: Matteo fermati! Il venire meno della Lega in questo momento alla severità con la quale sta conducendo l’opposizione a un grumo di potere incollato alle poltrone ma scollato dalla realtà è sbagliato. E politicamente suicida.

Il dato saliente che le elezioni degli ultimi dieci anni ci hanno consegnato è che gli elettori pretendono chiarezza e coerenza. Non vogliono minestroni dove destra e sinistra si mischino rendendosi indistinguibili. I partiti che in passato hanno provato simili avventure l’hanno pagata a caro prezzo. Nel 2011, dopo la defenestrazione del Governo Berlusconi se si fosse andati subito al voto il Partito Democratico avrebbe vinto a mani basse. Invece, Pierluigi Bersani diede ascolto alle pressioni del Colle accettando di appoggiare insieme al "nemico" Forza Italia il Governo del "Commissario Monti".

Risultato: le elezioni del 2013 furono perse dal Pd, nel senso che non riuscì ad ottenere la maggioranza sufficiente al Senato per governare da solo il Paese. Anche a Forza Italia è capitato analogo destino dopo che il presidente Berlusconi decise di imbarcarsi nell’avventura del Patto del Nazareno con Matteo Renzi, nel 2014. A seguito di quella esperienza Forza Italia ha perso più di un terzo del suo elettorato, già falcidiato dalla tempesta del 2011. I grillini si sono presentati come i puri e duri sulla scena politica. Hanno preso voti giurando sulla pietra sacra che mai avrebbero fatto alleanza con alcuna delle forze della cosiddetta vecchia politica. Poi, però, all’indomani del 4 marzo 2018, al risveglio dopo una strabiliante vittoria, si sono accorti che da soli non sarebbero andati da nessuna parte e non volendo rinunciare all’occasione ghiotta di entrare nella stanza dei bottoni hanno cercato alleati per mettere in piedi un Governo e li hanno trovati nei leghisti. Risultato: in quattordici mesi di partnership governativa i Cinque Stelle hanno dimezzato i consensi.

Rotto il rapporto con Salvini, i pentastellati avrebbero dovuto ricercare la purezza perduta tornando alle urne. Invece, assetati di potere, si sono messi col diavolo pur di restare in sella. Risultato: alle regionali in Umbria sono stati asfaltati e nei sondaggi vengono dati in via di estinzione. Ora, è lecito chiedersi per quale assurdo motivo il "Capitano" della Lega, probabilmente a un passo dal cogliere una storica vittoria che lo porterebbe a guidare con numeri solidi l’Italia per i prossimi anni decida di darsi una martellata sui testicoli?

Che fa? Dopo il disastroso modo con il quale ha condotto l’uscita della Lega dal governo con i pentastellati lo scorso agosto, riprova a imitare Tafazzi? Fonti interne al partito fanno trapelare che dietro l’iniziativa inopinata di Salvini vi sia la regia di Giancarlo Giorgetti che, per suo conto, aveva anticipato in un’intervista a La Stampa che bisognasse puntare a un governo di unità nazionale con "Mario Draghi premier per fare 4 o 5 cose urgenti". Già durante la crisi di governo dello scorso agosto si vociferò del ruolo decisivo del numero 2 della Lega nel volere la rottura a ogni costo. È noto che a Giorgetti piaccia la persona di Mario Draghi, ma basta questo per affossare il suo leader che è in vista del traguardo? Anche un bambino capirebbe che l’idea di un governo di salvezza nazionale, capitanato da una personalità forte, come quella dell’ex governatore della Bce, non si limiterebbe a fare le quattro cose messe nero su bianco da Salvini. Quanto meno pretenderebbe di portare a termine la legislatura, che è poi ciò che desiderano tutti quelli che oggi hanno l’acqua alla gola: renziani, piddini e grillini.

Non dimentichi Salvini che la sua forza elettorale è data oggi dalle istanze di cambiamento espresse dalla popolazione. Se la gente lo vota è perché spera che lui, il "Capitano", ce la faccia a cambiare verso al Paese, non che si accordi con i nemici in una logica consociativa di gestione del potere. Vuole tornare alle percentuali sotto le due cifre che erano la costante della Lega nordista di Umberto Bossi, di cui sembra che Giorgetti abbia nostalgia? Si accomodi, ma non pretenda più di essere considerato il capo della coalizione della destra plurale. Ma, sostiene Giorgetti, non avrebbe senso ritrovarsi, domani, a governare sulle macerie. E da quando una tempesta, sebbene impegnativa, abbattutasi sul sistema-Italia spaventa così tanto i potenziali timonieri da indurli a cercare riparo in accordi di convenienza con gli avversari?

L’Italia del 1945 sotto le macerie ci stava realmente, nel fisico e nel morale. Eppure, un pugno di attempati signori dall’aspetto compassato prese in mano la guida del Paese e compiendo le scelte giuste, nel volgere di pochi anni riuscì a portare una nazione sconfitta, che era entrata in guerra prevalentemente agricola e analfabeta, ad essere una potenza industriale di livello mondiale. Se non si ha la forza di gestire il botto della Popolare di Bari, il colpo basso inferto dalla Magistratura all’Esecutivo sulla vicenda dell’Ilva di Taranto, di andare a Bruxelles a riaprire i tavoli negoziali sul Mes, allora meglio starsene a casa. Consigliamo vivamente a Salvini di non dare troppo peso alle suggestioni che periodicamente emergono nel suo partito e che propongono di cercare soluzioni di matrice democristiana al futuro del Paese.

La strada verso la vittoria è tracciata e passa per l’intransigente richiesta al Presidente della Repubblica di scioglimento anticipato delle Camere e di indizione di nuove elezioni ai sensi dell’articolo 88 della Costituzione, ricorrendo le circostanze particolari che quell’articolo, nelle intenzioni dei Padri Costituenti, è chiamato a disciplinare. Quello stesso articolo la cui lettura, guarda caso, è stata omessa dai pescetti di cannuccia quando ieri l’altro adunati in Piazza San Giovanni a Roma si sono dati alla lettura della Costituzione. E a Matteo Salvini offriamo come viatico per la sua ardua impresa dalla quale ci si augura non defletta non già le frasi fatte di qualche cantautore in auge presso i sinistri mondi del progressismo buonista ma una massima dell’immortale Platone: "Vi è un modello fissato nei cieli per chiunque voglia vederlo e, avendolo visto, conformarvisi in sé stesso. Ma che esso esista in qualche luogo o abbia mai ad esistere, è cosa priva d’importanza; perché questo è il solo Stato nella politica di cui egli possa mai considerarsi parte" (Repubblica,592 b). Riprendi la giusta rotta, Capitano! E che i venti ti siano propizi.

di CRISTOFARO SOLA