Qualcuno incomincia a parlare di maledizione e indica il segnale in quel fulmine che in una delle ultime tempeste di questo catastrofico inverno-autunno colpì, spegnendola, la Lanterna, simbolo secolare della città di Genova, faro sempre acceso a mostrare ai naviganti il grande porto e alla città i battiti della sua vita sul mare, l’intermittenza permanente, la luce contro il buio e non solo quello della notte.

Gli altri parlano di “tempesta perfetta”, quella che dal 14 agosto 2018, ore 11,37 si è abbattuta su Genova, facendo crollare il Ponte Morandi, spezzando la città, portandosi via 43 vite.

Oggi la tempesta, incominciata con quell’incubo improvviso, continua a perfezionarsi, con un ritmo inesorabile, una cadenza che sul finire dell’anno è diventata come una ossessione.

A fine novembre un altro ponte si è spezzato, con i suoi piloni travolti da una frana sull’autostrada A6, quella che collega Savona e Torino, cento metri caduti nel baratro, per miracolo senza vittime.

Qualche giorno dopo la magistratura genovese, innescata dalla gigantesca inchiesta per il crollo del ponte Morandi, ha sollecitato e ottenuto dalla Società delle Autostrade la chiusura di due viadotti sulla A 26, la Voltri-Gravellona Toce, una parallela della A 6, la connessione fondamentale tra Genova, le banchine del suo porto e il Nord profondo, le praterie dei grandi traffici europei, in sù verso la Svizzera, l’Austria, la Germania e il resto del Continente.

Stop perché i report sulle condizioni di manutenzione di quei super ponti nell’immediato entroterra genovese denunciavano carenze paurose. Era stato come se i collegamenti della Liguria con il resto del mondo si fossero strangolati.

E alla vigilia di Natale. Quei viadotti sono stati parzialmente riaperti, ma un’altra maledizione si è abbattuta sulla Liguria, perchè i suoi percorsi stradali si sono riempiti di cantieri di riparazione, installati dai concessionari, riducendo i percorsi a corsie uniche e a corsie alternate per tratti anche lunghi decine e decime di chilometri.

Il risultato è stato la quasi paralisi totale del traffico nei giorni a cavallo di Natale, quando l’ondata dei turisti scende dalle pianure verso le Riviere liguri, verso la Francia. E’ come se città importanti, Torino, Milano, Bologna, Firenze, ma anche città più vicine all’ arcobaleno ligure, Alessandria, Cuneo, Mondovì, fossero bruscamente allontanate.

Per arrivare da Milano e Torino a Sanremo e alla Costa azzurra il tempo di percorrenza è passato da due ore e venti minuti circa, a cinque-sei ore. Le autostrade collassate sono diventate incredibili percorsi di guerra per decine, centinaia di chilometri in un delirio assoluto.

Assente parzialmente per le vacanze natalizie il traffico commerciale, che conta circa 12-13 mila Tir al giorno su quelle tratte, quello turistico è stato ingabbiato inesorabilmente.

E in più la beffa: la maggior parte dei cantieri, a decine, installati tra Spezia e Genova, tra Genova e Savona, tra Savona e Ventimiglia, tra Voltri e Alessandria, tra Savona e Ceva e Mondovì, erano semplici birilli piazzati per restringere e deviare le corsie. Non un operaio al lavoro. Gli automobilisti imbottigliati per ore e ore vedevano sfilare lentissimamente questi presunti cantieri, senza un solo uomo al lavoro.

“E’ la guerra tra il Governo, che vuole togliere le concessioni ai privati e le società private che si vendicano, piazzando i cantieri con la giustificazione della maxi inchiesta giudiziaria che segnala carenze, insufficienze, clamorose deficenze nei controlli”, è stata la spiegazione a un’emergenza incredibile e inspiegabile.

Mentre la Liguria ha incominciato a contare danni colossali per la carenza di collegamenti, in una fase delicata dell’anno, crolli dei turisti in arrivo, stop al traffico commerciale che non si ferma neppure nelle feste, Genova è diventata irraggiungibile, come se il ponte Morandi fosse caduto un’altra volta e, anzi, ora l’indeterminatezza delle condizioni di sicurezza si estendesse non a uno ma a centinaia di viadotti (sulla rete nazionale autostradale sono 2000), colpendo la rete ligure, la più vicina, quella che era più rapidamente nel mirino dei giudici che avevano sul proprio tavolo i report e le intercettazioni sulle manutenzioni.

Era come se dalla catastrofe del Morandi fosse partita una raffica che colpiva, smascherandole, tutte le carenze di migliaia di controlli fasulli, scoprendo dati falsi, trucchi, ignobili menzogne giocate sulla pelle degli utenti, di chi entra e paga pedaggi carissimi in cambio di un servizio che è come un gioco alla lotteria.

Può andare bene, ma può andare malissimo, come a quegli sciagurati del Morandi o in modo ben più leggero a quegli automobilisti, prigionieri in autostrada per ore e ore. Allora di fronte alla furia delle istituzioni liguri, il presidente della Regione Giovanni Toti, tra l’altro commissario all’emergenza e il sindaco Marco Bucci, commissario alla ricostruzione del ponte, la prima risposta è stata di cancellare il pedaggio per i tratti più colpiti dalle code, dai rallentamenti infiniti. Quasi una beffa, come se non pagare un pezzettino risarcisse delle ore e ore di disservizio.

Ma non era finita.

Non c’era stato quel segnale terrificante del fulmine che spegne nella notte di tempesta e di allerta, durante le piogge alluvionali di novembre, quando la Liguria sembrava ambientata nel romanzo di Garcia Marquez “Cento anni di solitudine”, dove piove per mesi e anni interi? Non era quello una premonizione del peggio?

Così quando nel colmo dell’emergenza il presidente di Aspi, della società che gestisce Autostrade, Robarto Tomasi, si è precipitato a Genova e nel palazzo della Regione si confrontava con Toti e Bucci, sull’onda di una emergenza totale, di danni incalcolabili e cercava di assicurare, di annunciare interventi eccezionali, controlli super, alle 18,30 della penultima serata dello sciagurato anno 2019, un pezzo del soffitto della galleria Bertè, sulla maledetta A 26, all’altezza di Masone, piccolo comune sul passo del Turchino, alle spalle di Genova, è crollato in mezzo alla careggiata, sfiorando le auto in discesa verso la città, verso lo svincolo che porta nella Riviera di Ponente.

Un miracolo e un’altra sciagura. Il miracolo è che nessuna auto è stata colpita, solo sfiorata dalla massa di calcinacci e ciò è stato un caso perchè il traffico era frequente e in quel punto potevo esserci io, potevi esserci tu, potevi esserci chiunque, in viaggio verso l’imbuto genovese e ligure, magari dopo essersi fatto tre volte il segno della croce contro il rischio dei crolli, delle cadute, più banalmente delle code eterne.

La sciagura è stata che la maledetta A 26, sciagurata come la A10, quella che corre tra Genova e Ventimiglia, crivellata dai cantieri dopo la tragedia Morandi o come la A6, spezzata dalla frana, sopra il bosco della “Madonna dei Monti”, è stata chiusa di nuovo.

E il sistema ligure, riaperto con il contagocce delle corsie alternate, si è ritappato inesorabilmente, in un clima tra la scampata strage eil blocco totale. Galleria sequestrata dai giudici. Venticinque chilometri di coda subito e il traffico fatto uscire dall’autostrada per infilarsi nel toboga della strada statale del Turchino, una via impervia che scende dal passo, tra curve e deviazioni, per entrare nella periferia occidentale di Genova. Un altro incubo alla vigilia di Capodanno.

Ma non era finita ancora, perché qualche ora dopo il crollo della galleria Bertè, nel cantiere della Grande Speranza, quello dove si costruisce il nuovo ponte, l’unico orizzonte chiaro nella cupezza ligure di questi mesi si è incendiato un pilone, uno dei 19 che Fincatieri, Impregilo e Italferr stanno tirando su per piazzare le campate del ponte firmato da Renzo Piano, che dovrebbe essere pronto entro la primavera-estate.

Ma come, brucia anche il simbolo della riscossa? I vigili del fuoco hanno spento presto le fiamme, ma la ferita fisica ed anche simbolica delle fiamme ha choccato quasi come il crollo della galleria. E ora si fanno i conti del ritardo che l’incidente provocherà in una operazione colossale e importante, tanto importante che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo ha citato nel discorso di fine anno, come esempio della capacità di riscossa dell’Italia di fronte alle difficoltà, alle emergenze, ai lutti terribili di quei 43 morti “che aspettano giustizia”.

Il crollo del Morandi era in molti modi annunciato da lavori continui sulla sua struttura, dalle lentezze nel trovare una via alternativa, la Gronda, la Bretella, cioè la tengenziale genovese, che si aspetta da decenni e che non è mai partita. Ma tutto questo era annunciato? Questo collasso simultaneo, perfetto, simbolico di una rete infrastrutturale che dovrebbe legare la terra ligure i suoi grandi porti e le loro connessioni con il mondo, era prevedibile?

Da quaranta anni questa rete è stata solo rammendata e malamente come tutto dimostra. Nel 1972 è stata inaugurata la Autofiori che oggi si chiama A10, concessionario oggi il gruppo Gavio, nella fine degli anni Settanta è stata conclusa la A26, quella della galleria crollata. Dopo di allora, per 40 anni, nessuna opera autostradale è stata non solo costruita, ma neppure concepita da Ventimiglia a Sarzana.

I progetti di Aurelia Bis che dovevano essere una contropartita ai lauti guadagni dei concessionari sono diventati una barzelletta in Liguria.Un pezzo costruito a Sanremo e uno a Albenga. Nulla di più: a Imperia un cantiere di questa arteria, che doveva scaricare il traffico autostradale, finisce nel vuoto dopo una galleria scavata inutilmente. Costruendo si erano accorti che sul percorso c’era un cimitero. Quindi stop. La foto di quella strada sospesa sul cimitero è diventata virale, prima che questo termine fosse inventato.

Ora tutti si disperano, promettono processi, risarcimenti, si impegnano, si telefonano tra ministri come quella dei Trasporti e delle Infrastrutture, la malcapitata De Micheli, fervente piddina, successore di Toninelli, il grillino che voleva costruire nuovi ponti a misura d’uomo. Corrono presidenti come quel Tomasi ai vertici dove Toti annuncia “Sono allibito!”

E intanto la Liguria è appesa al vuoto, come quell’Aurelia bis sul cimitero di Imperia. Autostrade vecchie, piene di cantieri vuoti e di code disperate, alternative neppure progettate, traffico pronto a deviare altrove, saltando non solo i porti di Genova e Savona, ma anche le attrazioni turistiche di una terra crivellata da frane, crolli, incendi. Auguri per il 2020, qui ce ne è molto più bisogno che altrove.

DI FRANCO MANZITTI