Ci andò anche Enrico Fermi. È una delle tante testimonianze che riguardano i prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti durante l'ultimo conflitto. All'epoca Enrico Fermi, il padre dell'energia atomica, stava lavorando per il governo americano a Los Alamos, nel New Mexico. Assieme ad altri scienziati contribuì, in maniera sostanziale, al 'Manhattan Project'. E in quei giorni venne a sapere che un ex collega della Università di Milano, Celestino Zinasi, era tra i prigionieri di guerra detenuti nel campo di San Bernardino, in California. Fermi fece diversi viaggi, trasportato da aerei militari statunitensi, e, fu poi raccontato, testimonianze riportate anche in un articolo di Earl Buie 'They tell me', che i due amici-colleghi passarono ore a parlare all'ombra degli alberi di quel campo di prigionia. Si disse, anche se non è mai stato confermato, che Fermi e Zinasi discussero anche delle scoperte che il premio Nobel aveva fatto. Un racconto da quale si può anche in qualche modo comprendere quali fossero le condizioni dei prigionieri italiani.
Dal febbraio 1944 alla fine della II Guerra Mondiale, ne arrivarono 499 al U.S. Army Camp Ono di San Bernardino in California. Erano definiti i connazionali prigionieri a basso rischio di fuga, anche perché l'Italia aveva già firmato l'armistizio. Così la prigionia in realtà non fu tale, perché gli italiani meglio non potevano essere trattati. Erano pagati per i lavori che svolgevano e potevano anche uscire dal campo, sotto la guida di un residente americano. Secondo il libro 'From Italian POWs to citizens of the United States' di T.A. Sunderland, che racconta il viaggio da prigionieri a cittadini statunitensi, i 499 italiani erano stati catturati dalle truppe britanniche a Tunisi, durante la Campagna dell'Africa del Nord del 1943. In un primo momento furono portati a Camp Florenz in Arizona, dopo il passaggio da Norfolk, in Virginia. Ma il secondo campo di prigionia, una città, con oltre 27.000 prigioni al suo interno, era popolato da italiani e tedeschi, da fascisti e comunisti, tra gli altri, e le tensioni erano frequenti.
Così per alleggerire il peso di Camp Florenz, 499 detenuti italiani furono trasferiti a Camp Ono. Prima si fermarono a Guasti, vicino a Ontario, dove risiedeva una vasta comunità italiana: furono impiegati nelle vigne, e quel lavoro fruttava anche 80 centesimi l'ora. Poi a Camp Ono passarono nei frutteti presenti nell'area, in pratica rimpiazzarono quegli americani che, per il conflitto in atto, avevano dovuto lasciare la propria casa, il proprio lavoro. Camp Ono fu creato nel 1942, come deposito, ma anche come campo di addestramento per il deserto. Si chiamava 'Uno', preso dallo spagnolo, poi cambiato in 'Ono' per le difficoltà incontrate nell'uso dell'alfabeto Morse. E quando arrivarono gli italiani, fu data loro la parte nord del campo, ma non c'erano recinzioni. Una prigionia molto lontana dal vero significato della parola. Poi, altro aspetto importante, in quella parte della California c'erano tanti italiani, anche arrivati da non troppo tempo. Così permisero alle loro figlie di fraternizzare per chissà conoscere un futuro marito della stessa nazionalità.
E fu così, perché una volta terminata la Guerra, molti dei prigionieri, scelsero gli Stati Uniti, cercando la nazionalità statunitense e stabilendosi in California. Ma prima avevano lavorato per gli agricoltori locali i quali spesso offrivano cibo fresco in aggiunta alla paga governativa. E i POW (Prigionieri di guerra) italiani avevano anche il permesso di visitare la città. In una intervista che Perry Pugno, ex prigioniero, rilasciò in seguito, raccontò anche di uno sciopero: non erano abituati alle abbondanti colazioni americane con carne e uova, ne volevano di più leggere... "Una bella vita" la definì sempre Pugno, anche perché una volta trasferiti a San Bernardino, il tempo libero era molto meglio strutturato, potevano giocare a calcio con le squadre messicane locali mentre cantanti e musicisti erano continuamente invitati alla San Bernardino Concert Association. E quando finì la guerra, furono costretti, dalla Convenzione di Ginevra, a tornare in Italia, dalla bella vita si trovarono con le macerie che il conflitto aveva lasciato. E furono tanti che vollero tornare negli USA: molti lo fecero sposandosi in Italia con le fidanzate conosciute in California e una volta avuta la cittadinanza, biglietto di sola andata...
Roberto Zanni