Eppure il Presidente della Repubblica l’aveva detto, al Colle, durante la cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno: “Chi riveste ruoli istituzionali deve avvertire la responsabilità di farlo in nome e per conto di tutti i cittadini” e poi, ancora, “confrontarsi, con lungimiranza, sulle prospettive, sull’ampio orizzonte del futuro”. Più chiaro di così si muore.

E invece a Natale, ad esempio, mentre le lasagne fumavano dai piatti del servizio buono di famiglia, la notizia di un’altra crepa che si apriva – le dimissioni dell’ormai ex Ministro Fioramonti – faceva il giro del tavolo. Proprio un bel regalino per il Governo Conte, che poi ha pensato bene di raddoppiare: un Ministro esce e due entrano e tante grazie dall’opposizione che fa il suo lavoro e cavalca l’argomento come Tex Willer. 

Del resto mai e poi mai avremmo scommesso cinquanta centesimi sull’ipotesi che i due nemici per eccellenza, M5S e PD potessero formare insieme un nuovo Governo, e per giunta guidato ancora da Giuseppe Conte: nell’anno che non ti aspetti, ciò che solo a pensarlo si commetteva peccato, è divenuto realtà, un’unione organizzata frettolosamente e celebrata in pochi giorni. E come se non bastasse a far saltare il banco, è arrivato, contro ogni pronostico, a mangiare pure il panettone.

Chi l’avrebbe detto che a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, in Italia sarebbero crollate repentinamente barriere prima invalicabili e colte con gioia strette di mano che fino a luglio stimolavano sospetti e sguardi rancorosi? Il 2019, una sorta di cavallo a tre gambe che vince il Palio di Siena, adesso che poi la prescrizione provoca notti insonni a molti della maggioranza, che il pallottoliere del M5S perde il conto degli onorevoli che se ne vanno – o che vengono espulsi, vedi Paragone – e dei soldi non ancora restituiti, che la consapevolezza degli effetti previsti dalla riforma del numero dei parlamentari serpeggia maligna tra gli ambiti scranni, che il partito di Renzi si piazza al Centro con la testa girata a Sinistra ma talvolta anche verso Destra, rischia di essere ricordato come la premessa al definitivo sdoganamento, anche in politica, dell’inammissibile che diventa ammissibile.

In Inghilterra, nel 1931, quando gli effetti della crisi economica del ‘29 si facevano pesantemente sentire, i liberali, insieme ai conservatori e ai laburisti, formarono un governo di “unione nazionale” al fine di superare il drammatico momento. La direzione dell’esecutivo fu affidata a MacDonald, il quale, per rilanciare l’economia, adottò una condotta protezionista, e, per la gioia di Keynes, svalutò la sterlina (tra l’altro, forse, la Brexit andrebbe valutata con più prudenza). Virtù poco imitate quelle inglesi, ma vabbè, noi siamo un’altra cosa: in Italia l’interesse nazionale viene sacrificato a favore di quello particolare; i governi vanno e vengono e le maggioranze pure.

Il «muro nostrano» crollato ad agosto, sotto le macerie del quale Salvini ha rischiato di rimanere politicamente sepolto, ha stimolato il divenire di una politica sempre più indefinita, dove i confini tra differenti proposte ed organizzazioni si fanno sottilissimi, come quelli tra prodotti simili in competizione nel mercato; in questo senso, la sua imminente interscambiabilità, avvicina questa politica allo spirito del consumismo. Un leader politico contemporaneo si comporta come probabilmente farebbe un manager se fosse al suo posto. Marx l’aveva intuito: stiamo diventando merce: merce che compra merce, e nel farlo produciamo un plusvalore al contrario. Non ci resta che sperare nella tecnologia, o meglio in taluna tecnologia, attualmente unico potenziale avversario di un capitalismo che soffre ma non demorde; che ci vuoi fare, i passaggi sono stretti ed una politica capace sempre più minoranza.

Intanto, dove si vende politica, splendono nuovi prodotti, ammalianti, che hanno bisogno di essere venduti, uguali e diversi allo stesso tempo da quel che già c’è. A ognuno il suo consenso, l’utile si fa massificazione del prodotto, la nemesi di quel che si era un rischio da correre. Non è quindi un caso che qualsiasi tema trattato inneschi un susseguirsi immediato di posizioni e contro puntualizzazioni che tendono a differenziare le ragioni politiche, altrimenti somiglianti, rendendole così, il più delle volte, incomprensibili e capaci solo di moltiplicare divisioni e contrapposizioni.

Se provassimo dunque, ad immaginare quali conseguenze potrebbe avere, sull’esecutivo e sulla maggioranza, un’eventuale sconfitta di Bonaccini in Emilia-Romagna, allora il richiamo del Capo dello Stato, ci apparirebbe come un auspicio, o meglio il tentativo di indicare responsabilmente con quali modalità si dovrebbe muovere la politica in un eventuale nuovo scenario di crisi. Un’esortazione virtuosa, forse utile già a fine gennaio, per l’appunto, quando i primi risultati arriveranno dai seggi e la ruota comincerà a girare. Ma la realpolitik made in Italy rifugge, più che altrove, da qualsiasi richiamo che guarda al gentlemen agreement. Anzi, in questo anno appena finito abbiamo assistito ad un ribaltamento delle procedure con le quali un tempo si governavano talune transizioni: la dicitura «dopo attento ed approfondito dibattito» abbandona definitivamente i luoghi della politica.

Un abito desueto e liso, non c’è dubbio, ma ciò che l’ha sostituito traghetta verso qualcosa di troppo generico e vago, un contenitore dove dentro ci trovi di tutto e di più, gialloverdi, giallorossi, e chissà, forse un domani anche biancoverdi o rossoverdi, ormai tutto è buono e non si butta via niente. Intanto il 2019, l’anno che non ti aspetti, finalmente è finito. All’ingresso del nuovo decennio si apprestano i temi politici che spingevano nel vecchio, un passaggio tra due età che si supera con un breve salto di un secondo. Nella mischia di chi vuol entrare per primo, o nella fila diligente che segue indignata, non ci saranno però le donne che in quest’anno sono state vittime di femminicidio: oltre 90. Un numero enorme, dietro al quale si scoprono storie terribili di violenza e pazzia. Contro questa barbarie deve andare il massimo impegno delle Istituzioni e di tutti noi cittadini.

Cent’anni fa stavamo correndo spediti verso il fascismo. Adesso non sappiamo immaginare cosa ci attende dietro l’angolo. Probabilmente dovremmo cominciare a riflettere su ciò che non ci aspettiamo, come se il verificarsi degli eventi futuri fosse un susseguirsi senza interruzioni di “cigni neri”, l’improbabile che governa le vicende della politica.

Emiliano Chirchietti