Chi glielo dice a Luigi Di Maio, “capo politico”, che il gioco (“L’esperimento”, come lo chiamò Jacopo Iacoboni in un suo prezioso libro di un paio di anni fa) è finito, che può rimettere nell’armadio la grisaglia di mammà (verrà buona al matrimonio di qualche parente) e tornare allo stadio San Paolo?

L’esperimento è fallito miseramente, nel senso che ha purtroppo prodotto i risultati attesi (la presa del potere), ma ha anche prodotto danni che il Paese pagherà a lungo e che dovrà cercare di riparare il più in fretta possibile.

Ora è di palmare evidenza che tutte le premesse del M5S sono state contraddette dai fatti: la disintermediazione (che brutto termine, chiedo scusa!), la partecipazione del popolo col voto digitale, il rinnovamento della classe dirigente attingendo più o meno a caso dall’elenco telefonico, la sconfitta della povertà, la società bucolica delle sagre di paese invece dell’industria 4.0 e del terziario avanzato, una specie di terzomondismo fuori tempo in appoggio ai peggiori Maduro sulla faccia della terra, il gilet gialli eversivi in Francia, e via così.

Di fronte a questo sfacelo che nessuno (forse nemmeno Travaglio…) riesce più a camuffare per cambiamento, c’è solo la ritirata di Russia (forse su quella strada incontreranno Salvini con Savoini). Rompete le righe e si salvi chi può. Il generale Inverno non perdona.

Forse qualcuno buono nel mucchio c’è e bisognerà valorizzarlo. Gli altri si godano lo stipendio da parlamentare per altri tre anni, approfittino per cercarsi un lavoro per il futuro, ringrazino la buona sorte per aver vissuto una così esaltante (per loro!) esperienza e cerchino di non fare ulteriori danni, assecondando chi nel frattempo dovrà provare a rimettere le ruote del treno sui binari.

Urge un programma di cose da fare, e in fretta; tre anni sono tanti, ma le materie da affrontare sono altrettante e più.

Sessanta milioni di italiani (anche quelli che si beano coi discorsi sconclusionati di Salvini e Meloni) hanno bisogno di governo, di riforme; che gli piaccia o meno, ne hanno un tremendo bisogno.

Inoltre, qualche centinaio di milioni di europei devono poter contare sull’Italia per una serie di problemucci emergenti, come la presenza nel Mediterraneo (non possiamo spostarci la Germania nel Mediterraneo, per ovvi motivi), l’invadenza e la sconsideratezza di Trump, i rapporti con la Gran Bretagna, le mire egemoniche di Erdogan e di Putin… poi ci sono le nostre vecchie sempre presenti esigenze locali, come il rilancio degli investimenti, la green economy, l’efficienza della macchina amministrativa, le infrastrutture, la formazione, il lavoro. Quindi, dei problemi di Luigi Di Maio con i suoi simpatici sodali di partito nonché del futuro, se mai ce ne sarà uno, del Movimento del Vaffanculo, “Frankly, my dear, I don’t give a damn!”.

Vadano pure “Via col Vento”.

DI ERNESTO TROTTA