Domani, 24 gennaio, un gruppo di intellettuali, ambientalisti, religiosi e manager firmerà ad Assisi un "manifesto per la sostenibilità", nel tentativo di rispondere alla crisi climatica con l’impegno a trasformare l’economia in una dimensione "umana", inclusiva.

Si tratta probabilmente della declinazione italiana di quell’idea di "società 5.0" nata in Giappone pochi anni fa, sull’onda degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) indicati dalle Nazioni Unite nel 2015. E anche dell’incontro diretto tra il pensiero ambientalista, il "riformismo" vaticano di Papa Francesco e l’ideale di "innovazione sostenibile" sostenuto da una serie di capi d’impresa ritenuti più "visionari".

Insomma, è una prova della crescente consapevolezza che affrontare la crisi climatica senza comprenderne anche la portata sociale è un grosso rischio (anche se manca apparentemente la presenza dei sindacati, e non si capisce se sia un segnale di sottovalutazione da parte di questi ultimi o dei promotori). La prima volta che esseri viventi trasformarono la Terra in una maniera così radicale da rendere poi possibile la nostra stessa vita, è stato tra i 3 e i 2,4 miliardi di anni fa, quando i cianobatteri cominciarono a usare la luce per generare energia chimica, producendo ossigeno come sottoprodotto. Oltre 100.000 anni dopo, il livello di ossigeno iniziò a crescere, modificando poi in modo permanente l’atmosfera terrestre.

Lo raccontano due scienziati britannici, Simon Lewis e Mark Maslin, ne "Il pianeta umano", un libro che spiega come abbiamo a nostra volta trasformato la Terra, come specie, al punto da poter parlare di "Antropocene". Che l’azione umana abbia avuto l’effetto di innescare il cambiamento climatico - già a partire dai tempi della rivoluzione agricola e poi impetuosamente con la rivoluzione industriale - con effetti che si dispiegano sul pianeta e sulle nostre stesse vite, è certo. Anche noi siamo una "forza della Natura", come quei cianobatteri.

Questo però non significa che non possiamo fare nulla per evitare il riscaldamento globale, che non possiamo alleviarne gli impatti. In un film Disney del 2015, "Tomorrowland", certamente ispirato dall’ottimismo tecnologico degli anni Cinquanta e Sessanta e dalla stessa visione del futuro di Walt Disney, si racconta di una catastrofe che incombe sull’umanità. In realtà, si tratta di una profezia auto-avverante, perché a forza di ricevere allarmi sul pericolo imminente, l’opinione pubblica ha smesso di reagire e ha accettato l’idea stessa di apocalisse, dunque nessuno prova più neanche a immaginare un futuro diverso. Toccherà ai nostri giovani eroi, innamorati della scienza, risvegliare un’umanità assopita.

L’idea del progresso inevitabile e inarrestabile, nata nel Cinquecento, dopo il cosiddetto "autunno" del Medioevo, ha riportato di sicuro qualche ammaccatura, nel corso del tempo, soprattutto nell’epoca dello sviluppo delle armi nucleari. E anche un film d’avventura come Tomorrowland dice, in fondo, che sarebbe ingenuo pensare che possa essere soltanto la tecnologia a salvare il mondo. Insomma, occorre anche una visione.

Nel suo libro "The Wizard and The Prophet" il giornalista scientifico statunitense Charles Mann mette in contrapposizione, parlando della lotta contro la fame del mondo, i "profeti" come William Vogt, ritenuto il padre dell’ambientalismo moderno, un critico del modello di sviluppo agro-industriale, e i "maghi", capitanati dall’agronomo Norman Borlaug, convinti che la scienza e la tecnologia, se usati nel modo giusto, ci consentiranno di sconfiggere la fame. Per Mann, queste due linee di pensiero sono destinate a non incontrarsi mai. Perché per i "maghi" bisogna cercare di eliminare i lavori faticosi, come quelli agricoli, per aumentare al massimo la libertà, mentre per i profeti anche quella fatica rafforza il rapporto tra gli esseri umani e la terra, l’ecosistema. Lo stesso tipo di scenario complesso si presenta in qualche modo davanti a noi oggi.

Ma di fronte alla consapevolezza crescente del cambiamento climatico e della sua origine umana occorre un’alleanza tra "profeti" e "maghi". Tra chi mette in campo le diverse soluzioni tecnologiche - dal risparmio di energia alla cattura dei gas climalteranti, passando per l’uso delle fonti rinnovabili - e chi predica che l’umanità debba intraprendere semplicemente un altro cammino. Questa è la sostenibilità, anche un modo di tenere insieme le necessità. Per cambiare paradigma, per cambiare clima, servono tecnologie pulite, scelte dei consumatori, decisione politica, un nuovo quadro di regole. E occorre anche "credere".

Come scrive Jonathan Safran Foer in "Possiamo salvare il mondo, prima di cena", se accettiamo una realtà "fattuale" (cioè che le azioni umane stanno modificando così fortemente il clima) ma non siamo in grado di crederci, "non siamo migliori di chi nega l’esistenza dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo". Quindi, per trovare soluzioni, occorre credere che il "climate change" sia reale e anche credere che ognuno di noi, nel suo ruolo, possa fare qualcosa.

di MASSIMILIANO DI GIORGIO