Ma come? Non si era tolto la cravatta? Suvvia, davvero credevate che le dimissioni di Di Maio da capo politico dei Cinque Stelle fossero una cosa seria? Svegliatevi. D’altra parte la storia del ministro "scravattato" non tornava fin dall’inizio. Una farsa durata giusto il tempo d’incassare il bagno di sangue elettorale annunciato in Emilia Romagna e Calabria. Formalizzato il disastro, Giggino è tornato immediatamente alla carica. E l’ha fatto nel modo più plateale possibile: chiamando alla rivolta di piazza contro la presunta restaurazione che - dice lui - si preparerebbe su vitalizi, prescrizione e reddito di cittadinanza. Peccato solo che la chiamata alle armi, prevista per il 15 febbraio, sia indirizzata contro lo stesso Governo di cui Di Maio fa parte. E contro la maggioranza che lo sostiene. La stessa che ha sancito, con il vertice notturno dell’altra sera sulla prescrizione, la propria inesistenza sulla giustizia. In questo contesto invocare la piazza significa aggiungere caos a caos, indebolire Conte e alimentare lo scontro. La mossa dell’ex bibitaro che si fece ministro non serve tanto a difendere questa o quella legge, ma nasconde una strategia di reconquista del Movimento. Dietro la quale si staglia chiara l’ombra del vero padrone del caravanserraglio pentastellato: Casaleggio jr. Il piano prevede quattro mosse: 1) rilanciare il ruolo anticasta del M5S, abbondantemente appannato da due anni di governo e sottogoverno. Quale occasione migliore di una bella piazza che urla il più classico dei vaffa su vitalizi e prescrizione? Vogliono tornare sanculotti, ma sono solo fanculotti. 2) Rimessa in moto la piazza del livore giallo, seguirà una dura campagna referendaria per il taglio dei parlamentari. Una campagna che - regalata dagli altri partiti, sdraiati sulla demagogia dei casaleggini associati - avrà un esito scontato. La mobilitazione del 15 febbraio sarà il lancio propagandistico per mettere Di Maio nelle condizioni di capeggiare il Movimento verso la sua prima vittoria nelle urne dopo il 4 marzo 2018. 3) Nella strategia dettata da Casaleggio, l’effetto trascinamento dell’esito referendario dovrà aprire la strada a Giggino per ripresentarsi agli Stati generali del M5S di aprile come il candidato più forte. Una ripartenza per fare del partito, più che dimezzato nei numeri, l’ago della bilancia, pronto in futuro - complice una legge elettorale proporzionale - ad allearsi con la Lega o il Pd. 4) Infine, tonificato da tre mesi di campagna tutta antipolitica e manette, Giggino tenterà di recuperare qualche voto alle Regionali di maggio. In tal modo taglierà la strada a chi nel M5S immagina una collocazione stabile nel centrosinistra. Naturalmente ci si potrebbe chiedere quale sia il ruolo del reggente Crimi in tutto questo: quello di un quadro di lontananza in fondo al corridoio. Un conforto nel momento del bisogno. Tutto ciò creerà ulteriori tensioni nel Governo. Come dimostra la prescrizione, il conflitto tra M5S e renziani è destinato ad acuirsi, costringendo Zingaretti ad indossare ancora i panni del pompiere e a giocare di rimessa. Una posizione che alla lunga potrebbe logorare i dem e fare il gioco del leader di Italia Viva, pronto a recitare a sua volta la parte di unico argine ai pentastellati. Il risultato? La paralisi. Nel frattempo, mentre tutti giocano al piccolo statista, il debito pubblico continua a crescere, soffocando il Pil e vanificando qualsiasi politica di bilancio; gli occupati si riducono; le crisi industriali, dall’Ilva a Whirlpool ad Alitalia, s’incancreniscono sempre di più. Non stupisce se in queste condizioni l’Italia sia destinata a restare ultima in Europa per crescita. Ma che ci frega: ora ritorna Giggino e si riaffaccia al balcone. Le cose si rimetteranno al loro posto. Speriamo che non sia sempre quello.

VINCENZO NARDIELLO