Quel pomeriggio in Cattedrale, a Palermo, e quelle parole le abbiano stampate, indelebili, nei nostri cuori. Come pure le immagini di lei, la vedova di mafia per eccellenza, davanti alla bara del marito ammazzato dalla mafia. Uno dei poliziotti, Vito Schifani, ucciso con il giudice Falcone.

"Io vi perdono, ma inginocchiatevi", disse Rosaria Costa, moglie del poliziotto mandato all’altro mondo da una scarica di tritolo sistemata dai mafiosi a Capaci, lungo la strada che viene giù dall’aeroporto Punta Raisi al centro di Palermo. "Io vi perdono, ma inginocchiatevi", rivolto ai pluriassassini. Ma nel suo quartiere, l’Arenella, in molti non gradirono. Compreso il fratello della vedova di mafia, Giuseppe Costa. Oggi sappiamo perché. Il fratello di Rosaria era a disposizione del clan dell’Arenella: è stato arrestato lunedì mattina dalla Dia di Palermo, assieme ad altri cinque boss.

A lui, muratore incensurato, moglie e figli, viene contestata l’accusa di associazione mafiosa. Giuseppe Costa, cognato di Vito Schifani e fratello della di lui moglie, raccoglieva i soldi del pizzo, gestiva la cassa della famiglia Scotto, si occupava dell’assistenza ai parenti dei carcerati. Gente di rango, non solo di rispetto. Costa serviva in particolare Gaetano Scotto, l’ultimo capomafia, l’uomo di molteplici misteri palermitani. Il boss Scotto sarebbe stato al centro di rapporti fra Cosa Nostra e gli ambienti deviati dei servizi segreti. "Un mafioso riservato", come lo chiamavano i magistrati antimafia.

Il trojan piazzato nel telefonino del boss ha registrato ogni parola. Due anni di intercettazioni, però mai nessun riferimento alla strage di Capaci. Come se quel terribile, terrificante momento di cronaca nera non fosse mai esistito. Giuseppe Costa prese in modo plateale le distanze dalla sorella diventata a maggio del 1992 "il simbolo della Sicilia che non si rassegnava alla mafia". Maurizio Spatari, collaboratore di giustizia, un pentito secondo la classica accezione, racconta di aver chiesto al suo superiore, il boss Giovanni Bonanno, se ci si poteva fidare del fratello di Rosaria Costa. La risposta di Buonanno: "si è comportato bene, ha preso le distanze dalla sorella Rosaria". Bastava e avanzava, la spiegazione viene ritenuta più che sufficiente. Costa si era messo inoltre a disposizione. Messaggero fidato, avrebbe organizzato incontri riservati a casa sua e custodito armi da fuoco di alcuni uomini d’onore.

Rosaria Costa, da quel giorno di maggio, non vive più in Sicilia. In un’intervista le chiesero: "Tornerebbe a Palermo?". Risposta secca, decisa, impossibile equivocarne il senso. "Manco morta, a Palermo sento odore di mafia. Forse da solo ci starei pure, per sfidare quei maledetti che condizionano perfino il respiro dei nostri parenti". Parole che sono entrate nei vicoli e nelle strade del quartiere Arenella, in zona Cantieri Navali. Dove i mafiosi non si sono mai rassegnati agli arresti e ai processi. La roccaforte, tuttora, dei segreti del boss Gaetano Scotto, indagato oggi anche per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, assassinati il 5 agosto 1989. In realtà, per la Procura di Palermo, Agostino era ufficialmente un agente della Volante del commissariato San Lorenzo e svolgeva un’attività sotto copertura di agenti latitanti. Qualcuno, evidentemente, lo tradì, denunciandone il doppio gioco nel quartiere dell’Arenella. Dove un fratello, Giuseppe Costa, ha rinnegato la sorella Rosaria, moglie del poliziotto Vito Schifani, assassinato dalla mafia.

Un mafioso pure lui, oggi smascherato e incarcerato: è stato a lungo a disposizione del clan mafioso che comanda e condiziona la vita all’Arenella. Dove, racconta la gente di mafia, un padre padrino ha fatto uccidere la figlia sospettata di aver tradito il marito. Quell’orribile brutta storia che tutti dovreste conoscere: assassinata nel 1983, Lia Pipitone aveva venticinque anni. All’Arenella, da allora, non si riesce a sistemare, in una strada, una stradina, un vicolo, una piazza, una targa che ricordi Lia Pipitone. E dove le donne in particolare continuano a sognare un quartiere libero dalla mafia. Gaetano Scotto, il boss, purtroppo è qui, presente nei brutti fatti anche quando non c’è. Ma ora non c’è più neanche Giuseppe Costa, che rinnegò la sorella resa vedova dalla criminalità palermitana, a cui si rivolse invano quel pomeriggio nella Cattedrale di Palermo. "Io vi perdono, assassini, ma inginocchiatevi". Il fratello Giuseppe il primo a non farlo.

di FRANCO ESPOSITO