di Daniela Lauria

Un volo Alitalia fermo alle Mauritius. A Lione, nel sud della Francia, è stato bloccato un pullman proveniente dal Nord Italia. La Romania ha già disposto la quarantena obbligatoria per tutte le persone in arrivo da Lombardia e Veneto.

Israele sconsiglia i viaggi in Italia. L’allarme coronavirus sembra quasi cambiare volto: da psicosi a sfondo razzista diventa italofobia. I nuovi cinesi siamo noi. 

Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, ha detto che i casi nella regione sono 172. Sommati ai 32 del Veneto, i 18 dell’Emilia Romagna, 4 in Piemonte e uno nel Lazio (due persone sono guarite) siamo a un totale di oltre 200 casi confermati in Italia. 

La fulminea diffusione del virus nel Belpaese ci ha fatto balzare al terzo posto per numero di contagi in tutto il mondo: a parte la Cina, siamo dietro solo alla Corea del Sud (602 casi). Il caso Italia allarma ora i Paesi all’estero, in particolare i nostri vicini europei, con Francia, Svizzera e Austria che seguono con attenzione gli sviluppi, non escludendo eventuali contromisure se la situazione dovesse peggiorare. Ieri sera un treno è stato bloccato al Brennero dalle autorità austriache per due casi sospetti di coronavirus a bordo. L’Austria ha subito bloccato i collegamenti ferroviari da e per l’Italia, salvo poi revocare lo stop.

Insomma, l’Italia è diventata uno dei principali fronti nella lotta al coronavirus fuori dalla Cina. Ma oltralpe c’è già chi, tra i più oltranzisti, chiede controlli alle frontiere, come la leader dell’ultradestra d’oltralpe Marine Le Pen. Chiede quello che il suo (ex?) alleato sovranista Matteo Salvini invoca in patria, anche adesso che l’emergenza siamo diventati noi. Ma una cosa è controllare le frontiere, una cosa è chiuderle. Se chiudessimo le frontiere, nel giro di 2 settimane non mangeremmo più, non metteremmo in moto la macchina, saremmo a corto di molti beni di prima necessità. E poi, cosa controlliamo? Chi ha la febbre? Lo stiamo già facendo. Oppure facciamo un tampone a chiunque varchi i confini?

Il picco di contagi in Italia è arrivato improvvisamente perché, almeno secondo la versione del commissario per l’emergenza Angelo Borelli, “i medici non sono stati in grado di riconoscere immediatamente i sintomi del virus”. Non per “colpa” loro, ha precisato il capo della Protezione civile, quanto per la “difficoltà” di individuare i sintomi. Abbiamo avuto la sfortuna, insomma, che l’epidemia si sia innescata in un ospedale, che si è tramutato in un amplificatore di contagi.

Fatto sta che l’emergenza italiana trova ampio spazio nei media stranieri, che in molti casi vi dedicano l’apertura di siti e giornali. Oltre confine il livello di attenzione si è inevitabilmente alzato. A partire dalla Svizzera, dove circa 68.000 italiani vanno a lavorare ogni giorno. “In base alla situazione attuale non vi sono limitazioni all’ingresso”, ha spiegato l’ufficio federale della Sanità Pubblica, che allo stesso tempo dichiara di “monitorare attentamente la situazione in Italia”. Ed anche se finora non si registrano contagi, le autorità elvetiche considerano la possibilità di una diffusione anche all’interno della confederazione. Tanto che qualche politico locale, come il deputato della destra dell’Udc Tiziano Galeazzi, ha invocato controlli della temperatura per i transfrontalieri.

Da Bruxelles l’Ue segue l’evolversi della situazione ed ha promesso ogni possibile sostegno. Nel frattempo i commissari per la gestione delle crisi e per la salute, Janez Lenarcic e Stella Kyriakides, lavorano alle misure, anche finanziarie, di contrasto dell’epidemia.