La gente è con lui, il governo centrale no. Stimato in regione, il governatore delle Marche si ritrova al centro del bombardamento critico di Roma. Il dem Luca Ceriscioli ha chiuso le scuole per il virus, senza che ci sia tuttora un solo infettato da coronavirus dichiarato e accertato. L’ordinanza del presidente regionale ha raccolto l’approvazione popolare dei marchigiani; il Governo ne ha invece immediatamente contestato l’opportunità e l’efficacia. Ceriscioli invitato, sollecitato, alla retromarcia. Ma lui niente, è andato avanti, anche a dispetto della sentenza contraria alla sua ordinanza del Tar del Lazio. Il tribunale amministrativo chiamato ad esprimersi dal ricorso del Governo. "Certo che rifarei tutto", conferma il grande disobbediente, che nelle interviste indica con il dito medio della mano destra la boccetta dell’amuchina bene in vista sulla scrivania. "I fatti mi hanno dato ragione. Un’ora dopo che avevo firmato l’ordinanza di chiusura delle scuole si è registrato il primo caso. Le mamme marchigiane mi ringraziano". Sui social è diventato un eroe, lui mai abituato ad alzare la voce. Professore di matematica, ligio al partito, si scopre disubbidiente verso il Governo, Tiè, Roma, tiè. La sua pagina Facebook - poche decine di pagine fino alla scorsa settimana - ora ne incamera oltre un migliaio. È diventata virale la seconda ordinanza del governatore delle Marche, dopo che il Tar Lazio aveva dato ragione a Palazzo Chigi. Una signora gli ha scritto, "io non l’ho votata, ma adesso la stimo tantissimo". I complimenti arrivano anche da fuori regione. La salute, dicono in coro, viene prima dei grandi poteri. I divieti valevano fino a sabato sera: chiusi i campi sportivi, i teatri, le discoteche. I funerali sono ammessi solo se celebrati in forma privata, davanti ai parenti stretti. Nei bar è ammessa la musica "a patto che non rappresenti un’attività prevalente". Decisioni che hanno raccolto la piena approvazione e applicazione da parte della maggioranza dei cittadini del capoluogo delle Marche. Anche se non mancano isolate voci di dissenso, critiche verso quella che viene ritenuta "un’insubordinazione" da parte del governatore Ceriscioli. Il virologo Burioni lo ha elogiato. La disubbidienza un po’ lo diverte e un po’ lo disorienta. Ceriscioli è sempre stato di sinistra, nel suo quartiere, Villa Fastigi, i comunisti avevano di norma il novanta per cento. Il gesto di Ceriscioli non è stato capito da tutti, all’interno del centrosinistra in vista delle elezioni regionali di maggio. Nella Marche, come in Umbria, la destra rischia di vincere per la prima volta. Gli oppositori dell’attuale governatore sostengono una tesi non esattamente condivisibile. Alla disobbedienza verso il governo centrale, in chiave virus, viene attribuito ora un chiaro significato politico. Anzi di più. I contestatori annidati nello stesso partito di Ceriscioli sostengono che quell’ordinanza è frutto di una decisione intempestiva, incomprensiva, solo un atto di scomposta ribellione. "Mosso per un disperato istinto populista, quando aveva capito che non sarebbe stato rieletto candidato, ha fatto la mossa disperata". Gli avversari politici sostengono che la coalizione "non lo vuole più", perché lo ritiene perdente. La cosiddetta coalizione deve fare comunque i conti con lui, visto che controlla il settanta per cento del partito. Come ama ripetere lui stesso. "Il settanta per cento", la precisazione è imbevuta nel puntiglio. Il centrosinistra avrebbe in casa un nome competitivo. Almeno questo rivelano i grandi capi e confermano i sondaggi. Il sindaco di Ancona, Valeria Mancinelli, sessantaquattro anni. Al contrario dell’attuale governatore delle Marche, avrebbe dalla sua parte la coalizione. Però non il Pd. Lei ha dato la disponibilità, mai i dirigenti del partito democratico hanno detto no. Brutale addirittura la franchezza. L’anno scorso è stata eletta il sindaco più amata del mondo. Viene anche lei dal Pci, ma la gente non la stima perché dice cose tipo "la sicurezza è una cosa di sinistra". In poche parole, il governatore protagonista della grande disubbidienza, il rivoltoso che divide le Marche rosse assediate dalla destra. Un intreccio che il segretario dem Nicola Zingaretti sta tentando di dipanare. Il leader regionale Giovanni Costoli sollecitato a trovare una figura di rilevanza civica. E l’aveva pure trovata nell’ex rettore Sauro Longhi, non gradita a Ceriscioli. Proposto Maurizio Mangialardi, cinquantacinque anni, sindaco di Senigaglia e presidente dell’Anci. Il sindaco di Pesaro si è messo al lavorare per convincere Renzi, Speranza, Calenda, Stumpo e Della Vedova a convergere in blocco su Mangialardi. Il governatore Ceriscioli assicura che la candidatura Mangialardi "passerà con assoluta certezza". Virus a parte, Ceriscioli governa un’operosa regione, le Marche, di un milione e mezzo di abitanti, ancora alle prese con le macerie del terremoto. La disoccupazione è schizzata al 9,1%. Tarate per il mercato interne, le aziende manufatturiere vivono una situazione da boccheggianti. Il terremoto ha prodotto 32mila sfollati. La nuova realtà ha creato disorientamento e gonfiato i rancori. È così che la destra sovranista, alle europee, si è ritrovata avanti di venti punti. La sindaca Mancinelli ritiene che la coalizione possa vincere. Ceriscioli è sicuro, "vinceremo". Malgrado lui, il disobbediente in rotta col governo centrale, non sarà della partita. "In estate sarò al mare".

FRANCO ESPOSITO