È caos calcio nel nostro Paese dove il governo del pallone è andato letteralmente nel pallone, tramortito dal coronavirus, mostrandosi incapace d’intendere quel che vuole. In due giornate una decina le partite rinviate, anzi da giocare a porte chiuse, magari da rimandare a maggio o forse alla settimana prossima. Prossimo capitolo della schizofrenica telenovela mercoledì, quando l’assemblea straordinaria di Lega dovrebbe prendere una decisione contro le 6/7 – in contraddizione – prese sinora. Il problema, è inutile nascondersi, non è semplice e la colpa non è solo del governo del calcio ma anche di quello del Paese. L’epidemia è un problema, un dramma planetario o quasi. In Cina decine di milioni di persone sono state messe in quarantena e in Europa come in America si discute e si lavora per contenere la diffusione.

In questo contesto, nel nostro piccolo, pur facendo cose buone il governo e i governi regionali hanno mostrato le loro incertezze su come affrontare una situazione mai sperimentata prima. Sono state prese decisioni discutibili e alcune misure hanno contraddetto quelle prese altrove o solo poco prima. Il calcio, specchio del Paese, è però riuscito a far peggio e mostrare ancora una volta il suo volto più brutto. Una settimana fa sono state rimandate due partite, gare in programma poche ore dopo la comparsa dell’infezione in Italia. Decisione emergenziale e comprensibile. L’Inter ha poi giocato la gara di Europa League senza pubblico e, una settimana e più dallo sbarco del coronavirus in pianura Padana, il nostro calcio ha deciso di sospendere, rinviare a maggio 6 gare della 26esima giornata. E lo ha fatto dopo aver detto per una settimana che si sarebbe giocato a porte chiuse, sette giorni in cui molti club hanno continuato a vendere i biglietti. Qualcuno anche a comprarli ma questa è un’altra storia.

Però, nella stessa giornata, i lombardissimi bergamaschi sono andati a Lecce come i piemontesi a Napoli. A Torino e Milano non si può giocare ma torinesi e milanesi possono andare allo stadio a Lecce e a Napoli. E poi c’è Coppa Italia, in calendario Juventus-Milan che, a differenza di Juventus-Inter si giocherà. Con i soli tifosi juventini. O piemontesi. È la sagra del paradosso dove il desiderio, per carità comprensibile, dell’incasso si scontra con le indicazioni sanitarie producendo un effetto grottesco. Facciamo qualche esempio. Nella semifinale di Coppa Italia Juventus-Milan lo stadio sarà ‘semiaperto’, potranno cioè accedere solo i tifosi residenti in Piemonte. Per la cronaca casi di coronavirus sono stati registrati anche in quella regione ma, al netto di questo, che si fa di fronte ad un tifoso residente in Piemonte ma che in settimana è stato a Milano per un appuntamento? Vale la residenza o no? Gli si controlla la cronologia del cellulare per capirne i movimenti? E se non vale la residenza che differenza c’è con un tifoso che a Milano ci vive? Per non parlare del tifoso residente in Piemonte, magari nella casa di famiglia, ma che vive ormai da qualche anno a Milano.

E poi i bergamaschi andati a Lecce che sono stati sottoposti a controlli. Controlli non meglio specificati. È stato fatto a tutti il tampone, gli è stata misurata la temperatura o chiesto semplicemente come stavano? Ragioni sanitarie la prima e ovvia motivazione per queste decisioni a macchia di leopardo. Motivazione risibile perché, se questo fosse il faro, le partite nelle zone colpite si sarebbero giocate a porte chiuse e nelle altre sarebbe stata vietata la trasferta dei tifosi a rischio. Semplice da fare e velocissimo da decidere. E poi ragioni d’immagine, si sono giustificati dal governo del calcio, che immagine darebbero all’estero degli stadi vuoti? La stessa se non migliore di quella data da rinvii a pioggia decisi all’ultimo istante. Altra è la ragione dietro alle marce indietro, ai litigi e ai malumori che hanno prodotto, tra l’altro, un ingorgo di calendario per cui, se l’Inter dovesse raggiungere la finale di Coppa Italia e quella di Europa League non avrebbe tempo per giocare tutte le gare. Soldi, si tratta come sempre di questo. I club, e non è una colpa, non vogliono rinunciare agli incassi. Juventus-Inter ad esempio per i bianconeri vale più di qualche milione di euro. La colpa è mascherare questo desiderio nascondendolo dietro a più nobili ragioni. E alla prossima c’è Atalanta-Lazio. Che succederà? Mercoledì il prossimo capitolo.

Alessandro Camilli