Che la vicenda del Covid-19 abbia una sua serietà è inutile nasconderselo. Chi è portato a minimizzare sostenendo si tratti di poco più di un’influenza agisce ignorando tutto quanto affermano i soggetti davvero competenti, vale a dire gli infettivologi. La questione è relativamente semplice, nella sua gravità: si tratta d’un virus poco o nulla conosciuto, la cui evoluzione si sta studiando solo da queste ultime settimane, e che ha una capacità di diffondersi molto forte. Questo significa che impegna le nostre strutture ospedaliere in modo tale da creare situazioni critiche. Che poi significa potrebbero non esserci le capacità per ospitare coloro tra gli infettati che presentino un quadro clinico serio, necessitante di terapie intensive.

Insomma, questione davvero non da poco, anche se non mancano elementi confortanti, che ci dicono in regressione il morbo, là dove prima è avvertito. Ma la guardia va tenuta alta, senza semplicismi o atteggiamenti ironici. Dunque, le istituzioni chiamate a governare il fenomeno sono evidentemente in una condizione di stress. E come ben si sa è nelle condizioni critiche che si misura il valore dei sistemi, la loro capacità di processare la realtà, tentando di tenerla a bada, per impedire che sfugga ad ogni possibilità di controllo, trasformandosi in qualcosa d’imprevedibile. Ma proprio in questa prova, sino ad oggi il Governo – inteso nella sua più ampia accezione di apparato organizzativo finalizzato alla gestione degli interessi collettivi – ha dato prova di sprovvedutezza, improvvisazione, mancanza di senso di realtà.

Sin da quando i primi episodi epidemici hanno cominciato ad avvistarsi nel Belpaese, i messaggi provenienti da chi aveva la responsabilità delle scelte sono stati incerti, contraddittori, privi di quell’autorevolezza che è componente indispensabile per l’efficacia del comando. A cominciare con il fatto che non si è nemmeno pensato d’istituire un unico riferimento, al quale fosse affidato il compito di parlare a nome dell’autorità, dettando la linea ufficiale e fornendo indicazioni il più possibile univoche. Ma questo sarebbe stato ancora poco. L’assenza d’ogni efficace cooperazione e l’incomprensione, almeno iniziale, dell’importanza della comunicazione in una vicenda che ha sullo sfondo la salute pubblica, ha fatto sì che si giungesse al litigio di piazza tra i responsabili della tutela della sanità.

Si è giunti al punto d’una quasi ribellione da parte dei Presidenti delle Regioni nei confronti dell’indispensabile coordinamento nazionale; e tutto quel che avrebbe dovuto silenziosamente decidersi nelle inevitabili incertezze dettate da una situazione sanitaria in buona parte ignota, decidersi per poi essere comunicato all’esterno con serietà, chiarezza e credibilità, è stato invece messo in strada, in modo incredibilmente sguaiato, con una gestione infantile, capricciosa e personalistica, ai limiti del temerario, che ha diffuso l’insicurezza propria delle situazioni in cui si perde fiducia in chi comanda.

Tutto questo ha prodotto fenomeni di panico collettivo, ha dato luogo all’irrazionalità, ha aggravato le difficoltà insite nella gestione d’una situazione di per sé già sufficientemente grave. E ora è chiaramente più difficile trasmettere indicazioni chiare e precise, indirizzare i singoli verso quelle condotte che siano più confacenti agli interessi della collettività. A ciò si aggiunge la ben nota indisciplina del popolo italiano, da sempre freddo nella direzione della cooperazione, intriso com’è d’individualismo opportunistico, alimentato dall’assenza d’un’educazione appropriata ai valori civici. Attributo proprio dell’istituzione è quello della stabilità, della valutazione ferma e razionale dei processi sociali che è chiamata a governare, della capacità di dominare nei limiti del possibile, non d’essere dominata dalla realtà che è chiamata ad affrontare nell’assolvimento dei propri compiti.

L’apparato politico italiano, che del funzionamento delle istituzioni porta la responsabilità, sta offrendo una prova di slabbramento ed inadeguatezza particolarmente preoccupante, che si manifesta in una precarietà ed approssimazione nell’adozione delle misure sanitarie, nelle incertezze continuamente trasmesse, nelle divisioni continuamente emergenti tra quello che si decide al centro e quello che si vuole nella periferia. D’altronde, fermezza e visione coerente delle cose richiedono, in politica, una forza nella decisione che solo una condivisa concezione su quel che si deve fare può assegnare. Quando, al contrario, anche in presenza d’una situazione in cui è in gioco la salute pubblica – nell’ampio senso che i latini davano al sintagma – si continua a strumentalizzare la realtà per meschine finalità di parte, e ciò ad opera d’un po’ tutti gli operatori in gioco, è sin troppo agevole comprendere che si è caduti in mani inesorabilmente sbagliate.

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