Era la fine degli anni ’60; il pensiero di Mao Tsé Tung invadeva le universitá europee e in Italia vi era un detto - "la Cina é vicina" - che giocava con la somiglianza onomatopeica delle due parole. Vi fu addirittura un film intitolato "La Cina é vicina", diretto dal prestigioso Marco Bellocchio. Oggi la Cina é la potenza che é, ma non credo che la si possa considerare molto diversa dalle altre potenze mondiali: né vicina, né lontana. Invece, dal mondo orientale arriva la Corea ogni volta piú presente nella nostra vita occidentale. Mi riferisco a quella piú in sintonia con i nostri gusti: la Corea del Sud.

Il primo accostamento alla Corea é arrivato con la mia automobile, che credevo giapponese, ma poi qualcuno mi spiegó che era coreana. Poi é approdato al mondo dell’arte "Parasite", il film paradigma della nostra epoca - Oscar al miglior film -, la cui trama racconta di povere persone, che vivono succhiando il sangue (si fa per dire) a superficiali ricconi. Parliamo anche in questi giorni del successo della Corea nella lotta contro il COVID 19, quasi a segnalare che quel paese é un passo avanti in confronto alle nostre strategie sanitarie. Ma ció che piú sorprende é la nuova presenza nel mondo occidentale del filosofo coreano - Byung Chul Han -, che negli ultimi anni sta diventando il gurú delle nuove generazioni europee, con una teoría che sconvolge molti: viviamo nella "societá della stanchezza".

Spiega la sua idea in questi concetti: siamo passati da una "societá disciplinata fatta di manicomi, prigioni, caserme e fabbriche" ad "una società fatta di fitness center, grattacieli, uffici, banche, aeroporti, centri commerciali". Siamo immersi in un mondo pieno di cose all’apparenza positiva, che ci saturano e ci portano a vivere non più sotto il dominio dell’obbligo ma sotto quello di un eccesso, che finisce per stancarci.

"L’eccesso di stimoli e informazioni - ci dice Han - modifica radicalmente la struttura dell’attenzione". Quando gli stimoli sono troppi, afferma il filosofo coreano, si produce una super attenzione diffusa, ma superficiale. Dedichiamo ore per saperne di piú attraverso "Google", ma é un sapere effimero, che rapidamente si sfuma. Viviamo una societá saturata di informazione, che finisce per stancarci, deprimerci, ammalarci. Penso a mia nonna, che la pensava come il filosofo coreano, quando ci diceva in termini piú coincisi: "il troppo stroppia", che altro non vuol dire che gli eccessi sono sempre negativi.

In epoca di COVID 19, Hal afferma che il panico della pandemia del coronavirus é sproporzionato. Nemmeno "l’influenza spagnola", che fu molto piú letale, ebbe effetti cosí devastanti sull’economía occidentale. "Questo perché? - si chiede - Perché il mondo reagisce oggi con uno smisurato panico?" Il fatto é che "la spagnola" sopraggiunse in piena prima guerra mondiale, quando tutti erano circondati da nemici. La celebre influenza operó in un contesto, dove l’umanitá era piena di preoccupazioni perché era in guerra. Il problema - continua Han - é che ci siamo abituati a vivere senza nemici in un mondo che pretende essere assolutamente libero, un mondo che sopprime ogni barriera e da via libera al capitale, alla promiscuitá e alla permissivitá generalizzata. Siamo vittime della nostra libertá, che vuole essere assoluta e finisce per essere il nostro principale nemico. In una societá permissiva qualsiasi elemento che pone in crisi le sue basi provoca paura, anzi panico. Questo é successo con il COVID 19.

La soluzione di Han- che oggi vive a Berlino - é strana per tempi come i nostri. Dobbiamo vivere in Stati, che - come quelli asiatici - si sono formati con una mentalitá autoritaria. Il Giappone, la Corea, la China sono paesi organizzati con regole strette, frutto di una lunga tradizione culturale (confucianismo). Ed é stata proprio questa maggiore obbedienza alle regole di Stato, che ha consentito affrontare con piú efficacia il coronavirus. Nei paesi orientali, i cittadini sono sotto vigilanza digitale, osservati da infiniti strumenti di alta tecnologia, che consentono una valutazione esaustiva dei loro comportamenti.

"In Asia - conclude Han - le epidemie non le combattono solo i virologi e gli epidemiologi, ma anche e soprattutto gli informatici e gli specialisti in big-data". Non so cosa dire su queste conclusioni, ma riscatto dal pensiero del coreano Han, che la societá dell’eccesso, causa delle nostre paure in tempi di pandemia, é oggi in crisi. Forse "il giorno dopo" capiremo che la libertá del secolo XXI é stata una falsa libertá, una libertá senza regole e senza limiti, che un semplice virus ha messo in ginocchio.

JUAN RASO