Potevano essere congelate per un anno. E invece no. Potevano lasciare spazio a uno spirito neutro, di collaborazione. E invece no. Neppure il virus, il Paese chiuso da più di un mese, oltre ventimila morti e l’urgenza di mettere in piedi la fase due sono riusciti a tirare le nomine delle aziende di Stato fuori dalla logica feroce dello spoil system.

Da quel protocollo che dice: questa volta sono io al Governo e tocca a me scegliere chi far sedere sulle poltrone che contano. La traccia di queste ore dentro la maggioranza è quella del braccio di ferro, delle discussioni sul "se tu prendi quello, allora a me dai quello", della terza riunione in tre giorni perché alla scadenza mancano 72 ore. I 5 stelle contro il Pd, i renziani che vogliono essere della partita, Conte che ha i suoi nomi. Una raffica di videoconferenze, rigorosamente sotto traccia, mentre al dibattito pubblico si consegna la grande narrazione della macchina che vuole mettersi in moto per far ripartire il Paese. E invece loro, gli uomini della trattativa, si sentono e si vedono in continuazione.

I frontman sono Dario Franceschini e Andrea Orlando per il Pd, Riccardo Fraccaro e Stefano Buffagni per i 5 stelle. I renziani hanno schierato Maria Elena Boschi per ricordare ai colleghi della maggioranza che la quadra si può trovare solo se sono tutti d’accordo. E poi c’è il premier che si è messo a mediare, ma con il tratto di quello che non vuole essere solo arbitro. Vuole giocare e contare. Per tutti vale una sola regola, imposta dal calendario: entro il 20 aprile, cioè tre giorni, bisogna trovare una quadra perché scadono i termini di presentazione delle liste del Tesoro che le assemblee delle società saranno chiamate man mano a votare.

Eni, Enel, Leonardo, Poste, Enav: l’artiglieria pesante. Posti di potere perché espressione di mega fatturati, ma anche di un posizionamento geopolitico fortissimo in mercati cruciali come quelli dell’energia e della difesa. Aziende partecipate dallo Stato, che incassa da loro cedole milionarie. Sommate diventano miliardarie. Sono soldi freschi, che significa tantissimo in un tempo in cui le uniche risorse a disposizione vengono dall’Europa. E allora bisogna fare presto, ma ci si è ridotti all’ultimo minuto utile. La fotografia della discussione dentro la maggioranza ha i contorni ancora spigolosi. Innanzitutto manca un metodo.

Il Pd e i renziani sono per cambiare poco o nulla. Ufficialmente, sostengono, perché in un periodo di emergenza un cambio in corsa della catena di comando significherebbe solo creare problemi. Durante le discussioni con i 5 stelle tirano in ballo anche il Quirinale, portatore secondo questo ragionamento di una linea cauta. Ma è anche vero che tutti i manager in carica sono stati nominati dai governi Renzi e Gentiloni.

Una riconferma vale insomma quanto un incasso. Per la ragione opposta, i 5 stelle vogliono cambiare e parecchio perché non hanno loro uomini. Ora sono al governo e pretendono di riequilibrare i pesi interni alla maggioranza. Poco conta se Renzi ha lasciato il Pd e fondato Italia Viva o, letto in un’ottica inversa, se i dem ora non hanno Renzi e quindi possono sostenere che le nomine degli scorsi anni sono state fatte da uno che non appartiene più al loro partito. Fatto sta che il tempo stringe e i nomi vanno tirati fuori. Pd e Italia Viva sono riusciti a mettere un primo punto fermo, che gioca tutto a loro favore: confermare gli amministratori delegati di quasi tutte le società.

Claudio Descalzi, Francesco Starace e Matteo Del Fante resteranno in sella rispettivamente a Eni, Enel e Poste. Un colpo durissimo per i 5 stelle, che hanno alzato le barricate soprattutto su Descalzi, per le vicende giudiziarie in cui è implicato il manager. Ma il nome di Descalzi è blindato non solo dai dem e dai renziani (fu Renzi a volerlo). Il manager è blindato anche dal Tesoro e dal Colle. La conferma è una questione legata soprattutto al ruolo strategico che Eni ha nel mondo in termini di peso economico e geopolitico e all’inopportunità di un cambio durante un’emergenza che ha gli stessi tratti. La riconferma di Descalzi ha dato il là alle pretese dei 5 stelle sulle presidenze. La partita si sta giocando qui.

E per incassare il più possibile, i grillini hanno messo in discussione il primo architrave, quello della continuità. Nel mirino è stato messo Alessandro Profumo, l’ad di Leonardo. I pentastellati alla fine hanno detto sì anche a lui, ma chiedono in cambio un bottino enorme: le presidenze di Eni e Leonardo, l’amministratore delegato di Terna, l’Enav, la società che gestisce il traffico aereo. Anche Mps. Per la presidenza di Eni in ballo ci sono Franco Bernabè, manager di lungo corso ed ex di lusso in casa Eni, dove ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato dal 1993 al 1998. Lo sponsorizzano i 5 stelle, anche per l’amicizia che l’ha legato a Gianroberto Casaleggio, ma anche il Pd non sarebbe contrario. È questo il caso di un nome sul quale si può arrivare a un accordo. Ma il problema è che la tela si compone di più pezzi e se tutti i pezzi non si tengono insieme è difficile mettere la cucitura definitiva su un singolo nome. Basta un esempio. I 5 stelle vogliono portare alla presidenza di Leonardo, l’ex Finmeccanica, Luciano Carta, direttore dell’Aise, i servizi di sicurezza esterna.

In questo modo Gianni De Gennaro, l’attuale presidente, dovrebbe lasciare il proprio posto. I grillini hanno pronta la soluzione: De Gennaro all’Eni. Ma così resterebbe fuori Bernabè. E poi ci sono i nomi di Conte. Altra carne al fuoco. Se le presidenze di Eni e Leonardo sono aggrovigliate in questo nodo, i grillini non desistono nello spingere su altri fronti. Vogliono Enav e Terna, player di prima fila per l’energia elettrica. I nomi ci sono: Paolo Simioni e Stefano Donnarumma.

Il primo è l’attuale amministratore delegato di Atac, la società del trasporto pubblico romano. Il secondo è l’attuale ad di Acea, la multiservizi capitolina dell’acqua e dell’energia. Simioni e Donnarumma rientrano nella casistica dei candidati con la maglietta di un solo colore politico. Ma anche qui la partita è complessa. A Enav, ad esempio, l’attuale amministratore delegato è Roberta Neri. Altra nomina voluta da Renzi. Si tratterà anche su questo. E su Mps. Alla fine qualcuno, persino i 5 stelle, potrà dire "abbiamo una banca".

di GIUSEPPE COLOMBO