Scompiglio tra le griffe dell’alta moda in Toscana. L’epidemia semina inquietudini e divisioni. Il virus come oggetto di proteste e rivoluzioni sociali. Agitazioni qua e là, minacce addirittura di scioperi a Prato, il regno del tessile. Gucci ha riaperto a discreto ritmo: garantita la sicurezza delle maestranze, sulla scorta di un progetto affidato al virologo Burioni, diventato nel frattempo una star televisiva, onnipresente negli spazi serali della tv di Stato. Ispirato dal professore scienziato, il progetto ha messo Gucci in sicurezza. Laddove ha protestato in maniera vibrata Prato, che non può ancora riaprire. Le regole non sono uguali per tutte le griffe. Cavalli, poi, è al centro di un aspro dibattito tra proprietà e dipendenti. I danni causati dall’epidemia e dal lockdown conseguente sono sotto gli occhi di tutti. Evidenti, palpabili. E siamo solo all’inizio, la fase 2 è di là da venire. Riacquisita l’operatività, intanto Gucci presenta i conti. Causa coronavirus, la maison fiorentina che fa parte del colosso francese del lusso Kering ha chiuso i primi tre mesi nel 2020 con un calo di ricavi del 22%. Pari a 1,8 miliardi di euro, rispetto al primo trimestre dello scorso anno. Il marchio paga la pandemia del Covid-19, nonostante i primi due mesi del 2020 siano stati positivi. Gucci è stata penalizzata dal forte peso degli acquirenti cinesi e del blocco del mercato asiatico, investito anch’esso dalla pandemia. La griffe già intravede però un minimo di ripresa in Cina e in Asia dagli ultimi giorni di marzo.

Un problema grosso la Roberto Cavalli, capi alla moda, stampi in pelle, prèt a porter e accessori, scarpe, borse, occhiali, gioielli, profumi. La proprietà Vision Investiment del magnate Hussain Sajwani di Dubai ha comunicato il trasferimento della produzione a Milano. Funzioni e dipendenti dovranno traslocare in Lombardia da Osmannoro, Sesto Fiorentino, non lontano da Firenze. Già decisa la deportazione di 170 dipendenti. "Trasferimento inaccettabile è la decisione di voler procedere nei prossimi mesi al superamento della sede di Sesto", ha protestato il sindaco di Firenze, Dario Nardella. "Decisione presa, indietro non si torna", la risposta della proprietà. La Roberto Cavalli ribadisce comunque la piena disponibilità a sedersi intorno a un tavolo con dipendenti e sindacati. "Cercheremo solo di venire incontro, per quanto possibile, alle esigenze dei lavoratori chiamati a trasferirsi". Secondo i vertici aziendali, lo spostamento a Milano da effettuarsi nei prossimi mesi non è un capriccio "ma una decisione che rappresenta il tassello finale del percorso di ristrutturazione che ha già ha visto nel recente passato l’abbandono del fondatore Roberto Cavalli e l’esternalizzazione della produzione al di fuori dei 26mila metri quadrati dell’Osmannoro".

Brand presente in 30 Paesi, 200 negozi fino a qualche anno fa, la griffe aveva conseguito un fatturato di 350 miliardi di lire italiane alla fine degli anni Novanta. Scivolata in concordato preventivo, è stata acquisita da Vision Investiment di Hussan Sajawani. E presto darà vita alla costruzione di cinque alberghi in dieci anni. A Dubai Marina il primo, con un investimento di 500 milioni di euro. Centosettanta dipendenti della Roberto Cavalli, il sindaco fiorentino Nardella e i sindacati contestano innanzitutto i tempi della dolorosa drastica comunicazione. "La decisione è stata comunicata in un momento così delicato e senza un confronto tra le parti". Una brutta rogna e un unico colpevole, questo virus stramaledetto. A Prato fanno fronte duro gli imprenditori tessili. Hanno inviato alla Prefettura e alla presidenza del Consiglio più di 400 lettere di riapertura delle proprie imprese. La minaccia, poi nessuno ha riacceso le macchine. Un ammutinamento mancato. Il fronte si è spaccato sotto l’azione del nuovo prefetto Lucia Volpe. "Rischiate di incappare in sanzioni pesanti". Quindi, le lettere di scuse al prefetto, l’ipotesi di ammutinamento è rientrata. Ma non l’allarme, rilanciato anche da Confindustria. "Se aspettiamo la riapertura il quattro maggio, siamo belli che finiti. Questo è un punto di non ritorno".

Spalleggiati da Confindustria, gli imprenditori tessili pratesi tarano l’asticella della riapertura su lunedì 27 aprile. "Inconcepibile che Paesi in condizioni simili alle nostre riaprono o non hanno mai chiuso. Se continuiamo così, le aziende andranno in malora: come e con che cosa pagheremmo i servizi pubblici? Siamo davanti alla catastrofe occupazionale". Gridi di dolore. Anzi di più, di pura disperazione. Confindustria accarezza il Comune di Prato e schiaffeggia la Regione Toscana. "Dobbiamo ricordare che i nostri prodotti sono stagionali e hanno una scadenza. La moda è un settore particolarmente esposto alla concorrenza internazionale". Il tavolo di confronto con istituzioni e parti sociali resta aperto. Come pure l’eccesso di zelo della Regione che impone condizioni difficilmente compatibili con le esigenze della produzione. Diavolo di un virus, perché non sparisci?

Franco Esposito