Dopo la protesta viene il momento della chiarificazione e dell’accordo. Si tratta di correggere un approccio alla fase 2 della gestione anti contagio da cui si evince il senso di una grave incomprensione dei valori connessi alla vita concreta della comunità cristiana. Nel dettagliare tempi e modi della ripresa è svanita inaspettatamente l’attenzione nei riguardi di chi vive l’esperienza di questa comunità.

Tante discussioni preliminari, nonché la fiducia accordata al lavoro delle varie commissioni, dovevano sfociare in una sintesi diversa. Purtroppo non è andata come era lecito attendersi. A mezzo di comunicato stampa, già si è potuto apprendere che il ricongiungimento tra parenti va esteso a fidanzati o a persone che abbiano tra loro relazioni stabili. Non si chiede molto se intanto fosse precisato che recarsi in Chiesa per una preghiera, sempre in condizioni di sicurezza sanitaria, non incontra ostacoli nelle procedure di vigilanza. Poi bisogna fare quel che serve al fine di eliminare il senso di ingiustificate proibizioni. I Vescovi hanno dunque reagito al prolungamento del divieto di celebrare messa davanti al popolo perché, in effetti, il Governo ha dato mostra d’ignorare un principio e un’esigenza: il principio riguarda la responsabilità e la libertà della Chiesa nel quadro delle norme concordatarie; al contempo l’esigenza rimanda al diritto dei credenti - il discorso vale ovviamente per tutte le diverse confessioni - a condividere appieno l’esperienza religiosa secondo la dimensione comunitaria della propria fede. Ora, se il Governo è chiamato a compiere una doverosa apertura all’istanza di libertà proveniente dal mondo cattolico italiano, non giova alimentare tuttavia una polemica irriflessiva, per quanto comprensibile nelle sue motivazioni profonde.

In questo momento ogni decisione pubblica sconta un dato di elevata complessità, perché la tutela della salute dei cittadini implica una qualche inevitabile limitazione nell’esercizio delle prerogative individuali e collettive. Essere solidali, in un tempo in cui la solidarietà s’impone, vuol dire pertanto farsi carico delle difficoltà, senza evocare scenari apocalittici. Bisogna a questo punto raccogliere lo sforzo di equilibrio che s’individua nella nota pubblicata ieri pomeriggio sull’Osservatore Romano.

Alla fermezza della protesta si unisce lo stile diplomatico: non viene meno la preoccupazione per una infinita quarantena a carico dei fedeli, ma non si ammanta di pregiudiziali la rivendicazione del "diritto alla messa". Pare dunque di capire che non sia affatto impraticabile la via di un sano compromesso. Chi teme una minaccia incombente sulla stessa funzione della Chiesa deve sentirsi rassicurato, magari contribuendo a disinnescare l’ordigno di una controminaccia che può degenerare nel ripiegamento verso antiche tentazioni integraliste.

di GIUSEPPE FIORONI