La parola telelavoro ha una radice greca: il prefisso "tele", che vuol dire "da lontano", "a distanza", come la parola telefono (fonetica a distanza). È una modalitá di impiego, che seguo ormai de una quindicina d’anni e cioé da quando le nuove tecnologie delle laptop e dei cellurari hanno consentito di poter operare fuori dall’ufficio. È una modalitá che consente prestazioni straordinarie, come quelle di esperti in design, che possono vendere la loro creativitá in qualsiasi parte del mondo; ma é anche un modo di lavorare che obbliga alla persona a stare ore ed ore dietro un computer per svolgere compiti ripetitivi e modestissimi, come per esempio, inserire dati in una base o in un contenitore digitale. La pandemia del coronavirus ha portato il telelavoro all’attenzione di tutti, perché é stata proprio questa modalitá di fare, che ha consentito - in piena quarentena - di non tagliare i ponti tra imprese e consumatori, scuole e alunni, universitá e centri di ricerca.

La domanda quindi é inevitabile: il telelavoro appartiene alla sfera del bene o a quella del male? E la risposta non é originale: come tanti strumenti a disposizione dell’uomo, puó essere utile e beneficioso, o dannoso. Solo qualche mese fa, nelle mie esposizioni a gruppi di imprenditori locali immaginavo un telelavoro benefico, che consentisse agli impiegati di lavorare (lá dove possibile) dal lunedí al giovedí in ufficio e il venerdí a casa attraverso laptop e cellulare. Cercavo di convincere che questa forma di lavoro non faceva risentire la produzione, e stimolava una settimana lavorativa piú flessibile, con una giornata dedicata parte al lavoro e parte alla famiglia. Anche in epoche di emergenza come quella attuale, il lavoro é una necessaria soluzione a molti problemi. Ma cosa succederá il giorno dopo, quando finirá la crisi? Sará opportuno continuare a telelavorare? Il paradosso é che mentre ieri ero difensore di un mix di settimana tra lavoro e telelavoro, oggi sono preoccupato per i pericoli che potrebbe comportare il telelavoro continuo, quello cioé svolto da casa durante tutta la settimana.

La prima "ombra" che proietta il telelavoro sull’individuo é la sua disconnessione sociale. Non mi riferisco al diritto alla disconnessione del lavoratore dalle sue attivitá durante una certa parte della giornata. Ma della disconnessione che si produce tra lavoratore e ambiente sociale. La nostra vita si arricchisce non solo con le prestazioni lavorative, ma anche con diverse situazioni che accompagnano le nostre attivitá: andare e tornare dall’ufficio, chiacchierare con i compagni, prendersi un caffé durante appunto la "pausa caffé", interessarsi del compleanno del capoufficio o del fidanzamento della segretaria. Insomma, ci sono tanti momenti da quell’uscire di casa verso il lavoro fino al ritorno alla nostra residenza, che aiutano a costruire la nostra soggettivitá, le nostre emozioni, i nostri rapporti personali. Il telelavoro invece isola, sottrae il soggetto al suo ambiente, riduce le possibilitá di vincolarsi, in altre parole toglie all’individuo la piú umana di tutte le condizioni: l’incontro personale con l’"altro".

La seconda "ombra" del telelavoro deriva dalla difficoltá di lavorare a casa. In primo luogo, vivere tutto il giorno a casa non é facile e la situazione attuale mostra in tutto il mondo che aumentano i casi di violenza domestica, abusi e via dicendo. Ma inoltre la maggior parte delle famiglie moderne vive in appartamenti piccoli, dove oltre alla coppia vi sono i bambini che piangono, il telefono che suona, un qualcuno che bussa alla porta etc. Insomma a casa non é sempre facile concentrarsi. Lavorare uno o due giorni la settimana a casa puó essere un bene, ma farlo durante tutta la settimana conduce a una situazione di isolamento, che puó provocare danni psichici, patologie della vista e dei tendini per la continua connessione con lo schermo del computer; e anche stanchezza mentale e depressione; per finire in quell’angoscia che produce situazioni di stress a causa di esigenze e ritmi intensi richiesti dal datore di lavoro.

La terza preoccupazione - l’ultima ombra - é il timore che il telelavoro, strumento importante in determinate circostanze, possa diventare una nuova modalitá di precarizzazione del lavoro. Temo che vi siano imprenditori che giá stanno immaginando imprese senza locali, senza scrivanie, senza bagni e cucine, con l’intenzione di svolgere nuove attivitá che solo impieghino telelavoratori, esterni all’impresa, rinchiusi nelle loro case, difficili da controllare nei tempi di lavoro e nelle condizioni di abitabilitá e quindi a rischio di scivolare nel lavoro nero. Considero che é necessario aprire un ampio dibattito sulla realtá complessa del telelavoro che non solo impatta nelle relazioni di impiego, ma anche nella vita familiare e privata. È bene utilizzare il telelavoro lí dove occasioni speciali impongo la sua azione, ma bisogna fare attenzione a non promuovere una nuova ondata di lavoro "povero", con danni collaterali proprio a casa nostra.

JUAN RASO