Finite le commemorazioni ufficiali, a vent’anni dalla morte avvenuta il 5 maggio 2000, voglio raccontarvi il "mio" Gino Bartali. Con giorni di ritardo perché spesso, leggendo tante cose che si raccontano di lui, ci rifletto sopra perché mi sembra d’aver conosciuto un’altra persona. Come stavolta. Gino era un uomo straordinario nella sua semplicità, non un eroe, semmai dippiù, un italiano perbene che ho sempre tenuto nel cuore fin da bambino – era il 14 luglio del 1948 – quando con quell’impresa al Tour de France salvò l’Italia che fremeva di sdegno e cercava la rivoluzione per l’attentato a Togliatti. Uno studente, Antonio Pallante, aveva sparato al leader del PCI e stava per succedere il finimondo, il mondo politico e istituzionale era in subbuglio, la polizia in allarme, quando quarantott’ore dopo Gino vinse la tappa Briançon-Aix Les Bains e il Tour e la notizia esaltante e calmante fu quella, gradita anche a Togliatti che, operato subito dall’ottimo professor Spallone, suo amico, aveva superato la crisi.

Anni dopo, diventato giornalista, seppi dal notista politico del Tg2, lo spilungone Emmanuele Rocco, nel ’48 portavoce del leader rosso: "Togliatti ammirò l’impresa di Bartali, lo ringraziò ma non gradì che lo si dicesse bartaliano: in realtà era un acceso sostenitore di Coppi". A parte Coppi, eterno rivale su strada ma amico nella vita, la popolarità di Bartali fu più forte nel campo avverso, perché da pupillo di Pio XII e sostenitore dell’Azione Cattolica, qualche mese prima – il 18 aprile del 1948 – aveva dato il suo contributo alla storica vittoria elettorale democristiana che aveva allontanato l’URSS staliniana dai nostri destini. Avendoli conosciuti entrambi, potrei dire che Bartali era come Guareschi, un cittadino esemplare che non aveva peli sulla lingua, e quando si è saputo che Gino aveva nascostamente aiutato gli ebrei perseguitati dai nazisti non potei ignorare il fatto che Giovannino i nazisti li aveva subiti nei campi di concentramento fra Germania e Polonia.

Eppoi, erano simili anche come leader d’opinione – opinionisti si direbbe oggi – per il loro parlare schietto e sferzante: Guareschi con il "Candido" fustigatore di costumi, Bartali con il famoso "L'è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare" che qualcuno ha messo in burletta e invece aveva la forza di un editoriale. Certo è che avendo bisogno di quattrini – non si era arricchito se non di gloria – nel ’92 accettò di fare il fustigatore brillante a "Striscia la notizia". Il "mio" Bartali avrebbe meritato ben altro titolo, ad esempio quelli di senatore a vita, e invece ebbe tutt’altra storia.

Il giorno in cui lo conobbi davvero e potei parlargli a lungo fu vent’anni dopo la sua storica impresa francese. Seguivo per la "Gazzetta" il Giro d’Italia 1968, tappa Cesenatico-San Marino, era il 6 giugno: Gino aveva parcheggiato una spider e si era seduto in un prato vicino al mio paese, Sassocorvaro, nel Montefeltro. Sulla fiancata dell’auto civettuola c’era scritto "Lenzuola Eliolona", sulla sua maglietta "Lenzuola e federe Eliolona", sul cappellino solo "Eliolona". L’eroe Bartali sfuggito agli onori democratici era diventato uomo sandwich grazie al comune amico Alceo Moretti, giornalista esperto di marketing, amico di Sergio Zavoli, ammiratore di Gino e Coppi.

Sic transit gloria mundi, si dice: e invece Bartali non è mai uscito dai cuori dei veri italiani, ai quali continuava a dire la verità. "L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare". L’ultima volta che gli parlai, fine anni Novanta, fu per invitarlo a ritirare il Premio San Silvestro d’Oro a San Prospero, nel modenese. – Gino, ti aspettiamo al San Silvestro, devo mandare a prenderti? – "No, grazie, non preoccuparti, vengo in macchina…ma non posso girare da solo, verrei con Adriana…". – -Benissimo, ci fa piacere avere con noi anche tua moglie… – "Scusami, un’altra cosa: potete ospitarci la notte in albergo? Niente lusso, mi raccomando…".

Italo Cucci