In Italia il trenta per cento di ristoranti e bar ha scelto di non riaprire. Le saracinesche sono rimaste abbassate in novantamila esercizi commerciali. La Fase 2 non è uguale per tutti. Novantamila esercizi commerciali rischiano di non riaprire più. Fipe Confcommercio ha effettuato una stima. Questo il risultato: 333mila tra ristoranti, bar, pasticcerie hanno deciso di non riaprire, almeno per il momento. I motivi della rinuncia? Poche persone in giro, e ancora impaurite, sotto choc, non si fidano, bloccate dal timore che all’interno dei locali possa annidarsi il contagio. In parole povere, non c’è l’auspicato assalto dei clienti. I locali spesso sono vuoti.

Secondo Confcommercio Milano, l’affluenza è del trenta per cento per i negozi non alimentari, del ventotto per cento per i servizi alla persona, la ristorazione non va oltre il venti per cento. Una mezza tragedia generale. E non è che vada bene dove c’è gente, nei locali della cosiddetta movida. "Mi arrendo, devo richiudere. Impossibile gestire la calca dei giovani", annuncia il titolare di un bar nel centro storico di Roma. "Giovani di diciotto anni, non danno retta a nessuno, non si informano, non sanno cosa sia la mascherina e perché è opportuno indossarla. Se non ascoltano nemmeno i genitori, come possono ascoltare me?"

Casi limiti, come quello all’esterno di uno storico locale di Padova, il Gasoline, nel giorno della riapertura, il 18 maggio, all’ora dello spitz. Un assembramento incredibile, mai visto prima, centinaia di giovani addossati, quasi uno appiccato all’altro, con tanti saluti al distanziamento di legge. Casi limiti, ma anche l’altra faccia. Quella di una realtà drammatica, fotografia dei disagi imponenti che affligge quel trenta per cento di esercenti di bar, ristoranti e pasticcerie che non hanno rialzato le saracinesche. A Roma il titolare di un bar importante ha riaperto, ma con quali esiti? "Solo cento euro l’incasso di una giornata, ho provato, ma devo richiudere".

Ha riacceso la macchina per il caffè, comprato le tazzine monouso, e a lui stesso ha aveva detto "si riparte, non mollare". Il risultato? Un disastro. Il Nuovo Faro ora resterà chiuso a lungo? Gli incassi di questi giorni non alimentano speranze, anzi le distruggono. "Non riesco a fare un programma. Siamo due soci e sei collaboratori tutti con contratto e in cassa integrazione. Nessuno ha preso ancora un euro, una cosa indecente". Il dramma nel dramma, e sullo sfondo uno scenario angosciante. "L’idea di dover licenziare tre collaboratori mi toglie il sonno. Sono tutti padri di famiglia. Capito a che punto del burrone siamo precipitati noi esercenti?".

Certo, a un punto morto. Titolari di attività commerciali – ristorazione, bar, pasticcerie, gelaterie - non coltivano prospettive. In novantamila urlano sdegno e raccapriccio. "Quando tutto funziona, siamo al centro dell’economia nazionale e internazionale. Ma negli uffici ora sono tutti in smart working, il turismo è fermo, non si quando riapriranno alberghi e teatri. Dobbiamo riconoscere e non nascondere: siamo davvero alla canna del gas. E non s’intravvede alcuna possibilità nell’immediato, spiragli zero. Se ne riparla a settembre". Restano chiusi non solo i locali dei Centri storici. Se i finanziamenti non arrivano, alcuni forse non riapriranno più. Fanno eccezione le aziende che, nel tempo, sono riuscite a diventare proprietarie delle mura.

"E quelle dove il nucleo familiare incide per il cinquanta per cento". Lamenti che acquisiscono il tono e la sostanza del grido di dolore. Il Centro Studi Fipe Confcommercio evidenzia nella sua ricerca il disagio in particolare di ristoranti e bar nei centri storici delle città italiane. "Causate anche alle difficoltà di accesso in questo momento dei residenti. Una minoranza sta facendo resistenza psicologica: non se la sentono di aprire in queste condizioni, con quello che comportano le regole su sanificazioni e distanziamenti. Bisogna però che si convincano che un’alternativa non esiste". Il cinquantanove per cento ha riaperto tra Milano, Monza Brianza e Lodi.

A Firenze, città turistica per eccellenza e definizione, è aperto il quaranta per cento di bar, ristoranti, pasticcerie e gelateria. I negozi orafi di Ponte Vecchio hanno deciso di non riaprire. "Sarebbe inutile, per dire assurdo o ridicolo ripartire", informa Lucia Giannoni. "Qui ci sono oreficerie come la nostra da centocinquanta anni, ma senza turisti non possiamo programmare nulla. Il governo, poi, non aiuta: cambia decisioni ogni tre settimane. Se riaprissimo non venderemmo niente. Stimiamo che non ci saranno flussi significativi di turisti fino alla prossima primavera".

A fronte del dramma italiano di ristoratori, bar, pasticcerie e gli orafi di Ponte Vecchio, la soddisfazione di parrucchieri a barbieri, sommersi dalle richieste. Stanno lavorando alla grande, vivono un momento di forte recupero economico e psicologico. Ma fino a quando durerà? Gli operatori del settore sono estremamente ottimisti. Messe in pieghe e permanenti hanno ripreso ad andare che è un piacere, il taglio di capelli a punta di forbice pure.

Franco Esposito