Gualtieri ha rivendicato le politiche di sostegno in deficit attuate dal governo nelle ultime settimane, enfatizzando il fatto che siano state di entità paragonabile a quella delle misure simili assunte in Germania. Era necessario fare deficit per sostenere famiglie e imprese, ovvio, e nessuno lo ha messo in discussione. Ma sarebbe meglio farlo senza enfasi, perché non si può ignorare che la Germania della "austerity" spende anch’essa in deficit, ma a partire da un debito del 60% del Pil e dopo anni di crescita sostenuta. Noi da anni cresciamo in modo asfittico e abbiamo un debito al 130% del Pil. Peraltro, ricordiamoci che il Coronavirus ha colpito l’Italia dopo che il Conte Uno era riuscito ad azzerare quel poco di crescita precedente mentre massimizzava il debito pubblico impegnando qualche decina di miliardi per il corrente decennio solo con i prepensionamenti regressivi di quota cento, confermata dalla maggioranza giallorossa.

Non fare allarmismi può essere sensato, ma nemmeno si possono usare toni trionfalistici per "i soldi europei" tacendo la gravità della situazione in cui presto l’Italia verrà a trovarsi. Quello che (confidiamo) accadrà con "Next generation europe" è un passo avanti storico per l’Unione europea, giacché per la prima si profila un adeguato bilancio "federale" con anche risorse proprie; e come europeisti lo abbiamo accolto con enorme soddisfazione. Ma come italiani dobbiamo essere consapevoli che dal 2021 l’Italia diventerà per la prima volta un paese percettore netto di risorse, cioè Luigi Di Maio e Giuseppe Conte "assistito" dall’Europa e dalla Germania, cui spetta il compito di mettere la quota maggiore di tanta solidarietà. Il Commissario Gentiloni ha fatto e farà un lavoro eccellente, ma il fatto che ad azionare il rubinetto di contributi e finanziamenti sarà un italiano non cambia la sostanza.

Occorre senso della misura e una visione delle criticità italiane che andranno affrontate con riforme profonde e investimenti, non solo ma in particolare sulla riconversione ecologica e digitale dell’economia e della società come indicato da Ursula von der Leyen. Occorre mostrare da subito una visione ambiziosa ed essere pronti a un cambio di passo rapidissimo. Il fatto che Gualtieri non possa invece ancora dire che l’Italia prenderà subito il Mes è la prova che nulla di questo stia accadendo nella maggioranza. Gualtieri sa che il no al Mes, inspiegabile fuori dal complottismo grillino, non rafforza l’Italia a Bruxelles ma la indebolisce. Sa che la razionalità chiederebbe di usare quelle risorse per la necessità di investimenti immediati nelle strutture sanitarie o nelle scuole che in poche settimane vanno attrezzate dal punto di vista sanitario per la riapertura di settembre. E sa anche che questo è ciò che si aspettano il mondo imprenditoriale e tutti coloro che sanno far di conto e constatano l’enorme convenienza del MES.

Invece nulla, giri di parole e rinvii: significa che il governo resta succube del M5S (Di Maio ha ripetuto oggi il suo "niet" al fondo salva stati). Questo è il punto politico: il Pd intende costruire una alleanza strategica con i grillini e a questo sodalizio sacrifica qualsiasi decisione che possa palesare un contrasto di visione, ora illudendosi che l’utilizzo delle risorse europee, quando arriveranno, sarà una sorta di cuccagna per i partiti al governo e bisogna solo arrivare senza scossoni alla prossima primavera. Ma questo è un punto decisivo: se il Pd pensa di ricostruire un percorso di crescita legando indissolubilmente il proprio destino al M5S e perciò continuando a farsi guidare politicamente da Di Maio, Bonafede, Crimi e Di Battista non può chiedere che altre forze politiche collaborino; certo non quelle con una visione europeista, liberaldemocratica e garantista incompatibili con il populismo a cinque stelle. Un’Italia a guida populista è destinata a sprecare l’aiuto europeo, e questo deve essere chiaro anche a chi magari pensa ancora che l’obiettivo della maggioranza non debba essere progettare una difficile ripresa ma possa rimanere quello di tirare a campare.