L’ufficialità non c’è ancora, ma il nuovo record di contagi negli Usa – 45.300 nuovi contagi in 24 ore – lascia pochi margini di dubbio: quando, dal primo luglio, l’Unione europea riaprirà le sue frontiere esterne, gli Stati Uniti non saranno nella lista contrassegnata da semaforo verde.​

 

Dato l’andamento della pandemia al di là dell’Atlantico, e fermo restando il potere di ogni Stato membro di decidere per sé, l’esclusione degli Usa dall’elenco dei Paesi non più soggetti a limitazioni di viaggio è quasi un atto dovuto, se si pensa ai sacrifici e ai timori di una seconda ondata che accomunano buona parte delle capitali europee.

 

Ciononostante, e malgrado l’evidenza scientifica su cui poggia la decisione, la portata simbolica è enorme: dal primo luglio – per dire – si potrebbe agilmente prendere un volo aereo per il Ruanda o l’Uruguay e non per volare a New York o Miami.​

E soprattutto - se Pechino toglierà a sua volta le restrizioni ai viaggiatori europei, garantendo il principio della reciprocità – sarà possibile volare in Cina, dove il Partito comunista ha rivendicato di aver già domato il focolaio accesosi a metà giugno nel mercato di Xinfadi nella capitale. Difficile immaginare un colpo più duro per Donald Trump, il cui fallimento nel controllo della pandemia è sotto gli occhi di tutti.

 

Dopo giorni di serrate discussioni, gli ambasciatori europei si sono indirizzati verso una lista di una quindicina di Paesi, che però potrebbe subire variazioni dell’ultim’ora in base ai dati epidemiologici.​

 

La luce verde – secondo quanto riporta l’Ansa - dovrebbe scattare per Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Thailandia, Tunisia e Uruguay. Un asterisco è invece posto sulla Cina, nei confronti della quale varrà, appunto, il criterio della reciprocità.​

 

I 27 hanno dibattuto a lungo, ed il tema è ancora aperto, proprio sulla ricerca di criteri comuni, affinché siano oggettivi e basati su chiari dati epidemiologici. La lista inoltre dovrà essere aggiornata ogni 14 giorni per riflettere l’evoluzione della situazione legata al Covid.

 

I diplomatici europei hanno concordato di aprirsi a Paesi con un tasso d’infezione da coronavirus pari o inferiore alla media Ue nelle ultime due settimane (16 su 100mila abitanti). Oltre al tasso d’infezione, Bruxelles valuterà se il trend è in aumento o in diminuzione ed esaminerà la gestione dell’epidemia da parte di un Paese, oltre all’affidabilità dei dati.

 

Washington è in trattativa con le capitali europee e l’Ue su come riaprire le rotte transatlantiche, ma allo stato attuale l’aumento vertiginoso dei contagi soprattutto in alcuni Stati – a cominciare dalla Florida e dal Texas – rende difficile qualsiasi passo in avanti. Prima di arrivare alla lista attuale, che comprende 15-18 Stati, i diplomatici europei avevano elaborato elenchi iniziali di 47 e 54 Paesi, entrambe visionate da Politico: gli Usa non comparivano in nessuna di queste.

 

Va detto che la lista finale sarà accompagnata da un altro elenco che aggiornerà le categorie di viaggi considerati “essenziali”, per i quali sarà consentito l’ingresso in Ue indipendentemente dal paese di origine o di partenza. L’elenco comprende personale essenziale come operatori sanitari e lavoratori agricoli stagionali; diplomatici, operatori umanitari e simili; marittimi e passeggeri in transito; persone che viaggiano per ottenere protezione internazionale o per altri motivi umanitari; persone che viaggiano a scopo di studio; lavoratori altamente qualificati a condizione che “il loro impiego sia necessario dal punto di vista economico e che il lavoro non possa essere rinviato o eseguito all’estero”.

 

Si stima che oltre 15 milioni di americani viaggino in Europa ogni anno e ogni ritardo – osserva Usa Today - sarebbe un ulteriore colpo alle economie e ai settori del turismo devastati dai virus, sia in Europa che negli Stati Uniti. Si pensa che circa 10 milioni di europei attraversino l’Atlantico per vacanze e affari ogni anno.

 

Giovedì il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha provato a minimizzare la questione. “Abbiamo bloccato i viaggi in Europa e viceversa. È la postura in cui siamo tutti in questo momento, e credo che stiamo prendendo sul serio la necessità di risolvere” questo problema, ha detto Pompeo. “Lavoreremo per farlo bene. Vogliamo assicurarci che [ogni decisione] sia basata sulla salute e sulla scienza”. Allo stesso tempo ha aggiunto: “dobbiamo riavviare la nostra economia globale”.

 

Il punto è che, ad oggi, gli Usa stanno fallendo nella loro strategia di contenimento del virus. Lo ha detto chiaramente anche Anthony Fauci, il massimo esperto ingaggiato dalla Casa Bianca per fronteggiare da un punto di vista medico la pandemia: “qualcosa non sta funzionando”. Il prolungamento delle restrizioni di viaggio che l’Europa si appresta a ufficializzare non è che l’ennesima conferma.