Facebook tenta di correre ai ripari e avvia l’ennesima campagna di lotta alle fake news. L’annuncio è arrivato nelle scorse ore. La piattaforma social ha intenzione di potenziare l’algoritmo, tarandolo sui criteri dell’affidabilità delle testate e dell’originalità delle notizie. Che, chiaramente, non sono stati meglio definiti. Saranno esaminati i siti e verranno oscurate tutte quelle pagine che non presentano "informazioni trasparenti" sui componenti della redazione di un giornale. Dicono che lo hanno deciso perché avrebbero scoperto che i siti che non presentano queste informazioni sono quelli che vanno più soggetti a clickbaiting e a campagne pubblicitarie. Come se i contenuti sponsorizzati (ah, le vecchie care trastole…) non fossero una realtà che campeggia, in bella vista, su tutte le testate nazionali e pure internazionali.

Nel caso di una stessa notizia trattata da più fonti sulla stessa newsfeed dell’utente, verrà preferito il pezzo che sarà ritenuto più originale perché "sappiamo che fare giornalismo di qualità ha bisogno di tempo e denaro". Insomma, il social si intesterà di nuovo la possibilità di giudicare quale giornale sia migliore di un altro. Come farà a capire se un articolo è più completo perché c’è un deskista ligio che puntualissimamente aggiorna un post con le agenzie che gli scorrono sul pc o se lo è perché sul posto c’è un giornalista in carne e ossa, un fotografo o un videomaker reale che, magari, ci metterà un po’ di tempo in più a scrivere tutto proprio perché è impegnato sulla prima linea, con tutti i problemi del caso?

Facebook affiderà la cernita agli algoritmi e non al discernimento del lettore. Ed è un guaio. Solo qualche giorno fa era stato Google a intestarsi la battaglia per la "qualità" degli articoli. I dubbi restano sempre gli stessi: chi e come deciderà quale fonte sia più attendibile di un’altra, chi e come potrà premiare o "oscurare" i siti da punire perché che fanno leva sulle emozioni (praticamente tutti i giornali, in tutto il mondo, da quando è nato il giornalismo) e turberebbero l’utente? A pensar male, come diceva quello, si fa peccato ma talvolta si azzecca: è ora che il giornalismo serio, che non può assumere sulle sue spalle le responsabilità della diffusione delle fake news, finalmente dica ai social di non ergersi a giudici in un mestiere che non conoscono.