Genova muore di traffico. Attraversare la Liguria è come affrontare il deserto. Prima di partire i guidatori si assicurano di avere a bordo acqua e viveri. Potresti stare in macchina, quattro, cinque ore, magari sotto il solleone di estate con i primi anticicloni che arroventano le lamiere. La Liguria affonda perché è isolata, irraggiungibile. O raggiungibile attraverso strade che non si percorrevano da decenni e decenni, prima degli anni Sessanta del miracolo autostradale. I piemontesi arrivano scavallando il Colle san Bernardino o il Nava a Ponente, i milanesi sbucano da Alessandria-Acqui-Carcare. I toscani piombano dalla Cisa e cercano strade alternative alla A12. Dove per passare da Rapallo a Recco puoi stare fermo una, due ore. Quelli delle autostrade, i concessionari, "coperti" dal Ministero dei Trasporti, devono riparare il tetto di 289 gallerie, tutte assieme. Aggiustando 360 mila metri quadrati di "onduline", le piccole paratie, che sono il tetto dei tunnel, un lavoro immane da fare tutto insieme, appena finito il lockdown della epidemia.

La Liguria sprofonda perché i suoi affari vanno a picco, quelli del porto per primi. La maggior parte del traffico in arrivo nei due scali di Genova e in quelli di Savona e di Vado e di La Spezia arrivava su gomma. E ora la gomma cammina con il contachilometri tra lo 0 e i 10 all’ora. Gli autisti dei Tir in arrivo dalla Spagna, dal Portogallo, dal nord della Svizzera, piazzano le piccole tende canadesi nelle aiuole delle aree di servizio per dormire al fresco. Tanto il traffico è fermo. Il turismo del dopo lock down, quello tra distanziamento in spiaggia e da mascherina più o meno obbligatoria. Da dehors creati dal nulla per allargare gli spazi dei restaurant. Delle spiagge libere con gli steward a dirigere i movimenti, stava incominciando a respirare. Ora va lentamente a fondo.

CHI HA IL CORAGGIO DI ARRIVARE IN LIGURIA?

Chi se la sente di attraversare quel deserto all’andata e al ritorno di week end. Con voglia di estate, di libertà e realtà di viaggi lunghi sei sette volte il tempo abituale? La Liguria affonda e ora la protesta incomincia a montare nei blocchi stradali, nelle manifestazioni accanto ai caselli chiusi per lavori. Come quello di Masone sulla mitica A26, la Gravellona Toce-Genova. Per beffa l’ultima a essere costruita a metà anni settanta. Quella dove è crollato il tetto della galleria Bertè, non facendo vittime per puro miracolo, ma innescando questo infernale casino. Che ha fatto della Liguria e dintorni una terra impossibile da frequentare.

TRAFFICO, UN INCUBO PER TUTTI

Urlano tutti, sindaci, presidenti degli industriali e delle Camera di Commercio, capi di aziende e popolo di pendolari e di autisti. Esasperati da questo cappio che si stringe intorno al collo degli affari. Ma anche della vita di tutti i giorni. Andare a lavorare, magari dall’altra parte della città, o in un altro comune è un’impresa a cui devi rinunciare. Distanziamento sociale, smart working. Era il corona virus a suggerirli. Ora è la coda di questi lavori pubblici, obbligati, sentenziati dal Ministero dei Trasporti, vigilati dai magistrati delle inchieste sui disastri e sui crolli, a obbligarli. E’ dal 14 agosto del 2018, quando è crollato il ponte Morandi facendo 43 morti, nel cuore di Genova, che è incominciata questa storia. I giudici hanno scoperto le mancate manutenzioni intorno a quel ponte maledetto. Ma poi i report sono andati avanti e hanno riguardato altri tratti di autostrada. Perché le intercettazioni e i sequestri hanno portato alla luce i mancati controlli, i rapporti fasulli su quello che i concessionari dovevano fare e non hanno fatto per decenni.

Controllare, per esempio, i tetti delle gallerie, come le antiche leggi sulle concessioni autostradali imponevano dal 1967. Poi è crollato un altro ponte, sulla A 6, quasi alle porte di Savona sull’autostrada per Torino. Poi è crollato, come un castello di carte, un altro ponte ancora, ai confini tra Liguria e Toscana. Niente morti, per miracolo, ma oramai il caso era esploso e riesploso. L’isolamento delle vie di comunicazione di Genova e della Liguria è una specie di tara che le vicende degli ultimi due anni hanno solo sottolineato. Dagli anni Settanta la classe politica amministrativa, ma quella dirigente più in generale, non ha costruito neppure mezzo metro di infrastrutture. "Eravamo come sonnambuli, camminavamo sulle strade costruite negli anni Sessanta e Settanta. Non chiedendoci se non era il caso di controllare il loro stato", confessa il presidente della Camera di Commercio di Genova, Luigi Attanasio, un imprenditore che aveva anche una azienda sotto il ponte Morandi.

UNA DEBACLE CHE UNISCE TUTTI, DA BURLANDO A TOTI

Generazioni intere di politici e di imprenditori, nessuno ha più fatto nulla. Questo fin dall’epoca dei "cavalli di razza". Come Paolo Emilio Taviani, il democristiano ministro per decenni. Angelo Costa, l’armatore celeberrimo, il presidente storico di Confindustria. Il cardinale-principe Giuseppe Siri, i tre della famosa terna di potere ligure. Non un’opera e neppure un progetto. Dopo coloro che dotarono la Liguria di strade, autostrade, aeroporti, porti e mulattiere. E ora il presidente della regione di oggi, Giovanni Toti, ex delfino di Berlusconi, che governa la Liguria da cinque anni e vuole essere rieletto alla fine di questa estate di fuoco, che è succeduto a Claudio Burlando, ex enfant prodige del fu Pci, per dieci anni ai vertici liguri, ex ministro dei Trasporti, che è succeduto a sua volta a gestioni politico amministrative di tutti i colori, non sa far altro che strillare su tweet, e in diretta Facebook. Lanciando perfino ordinanze regionali contro il Governo e invocando poteri che non ha, contro il governo Conte e il ministro Paola De Micheli, per questo stato di abbandono vergognoso e totale. Povero Toti, anche lui ha le sue responsabilità. In cinque anni che ha fatto per controllare quello che adesso hanno scoperto essere un disastro senza remissione?

IRRAGGIUNGIBILE PER TERRA, MARE, CIELO

La Liguria è irraggiungibile per terra, per mare e per cielo. La pandemia ha ridotto i collegamenti via mare in modo esponenziale, i traghetti si contano sulle dita di una mano, le crociere sono un business oggi a fondo. Le grandi navi da 5.000 passeggeri sono ferme in porto, come giganti spiaggiati sulle banchine di Genova e Savona, co i loro fumaioli spenti e le bandiere ammainate. L’aeroporto di Genova, Cristroforo Colombo, registra un volo al giorno per Roma, di sola andata, al modico prezzo di 460 euro . E la ferrovia non supplisce, treni con i limiti covid e insufficienti. E il grande sogno di un collegamento veloce Milano-Genova, attraverso il leggendario Terzo Valico in costruzione, ma in ritardo di almeno due anni. Dovevano concluderlo entro il 2022. Se ci sarà entro il 2024 sarà un miracolo. D’altra parte l’Alta Velocità non è un affare ligure. Qui i Freccia rossa si vedono solo in cartolina. Per arrivare e tornare da Roma ci vogliono sempre 5 ore, come ai tempi di Taviani, ma allora magari il viaggio era alleggerito dal vagone restaurant o dal vagone letto. Oggi viaggi e digiuni, se non ti porti un panino come l’autista in viaggio sulle strade liguri di questi mesi. La Liguria è una terra dimenticata, per colpa di una classe dirigente che ha perduto completamente autorevolezza a livello nazionale, dove nessuno riesce a fare la voce grossa.

LIGURIA SENZA LEADER DI PESO A ROMA, PINOTTI E ORLANDO CONTANO POCO

I leader di maggiore peso romano sono l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti, oggi senatrice Pd e Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia, oggi vicesegretario del Pd. Ambedue non sono stati capaci di farsi eleggere a casa loro. Stanno in Parlamento con voti conquistati grazie a combinazioni di liste in altre regioni. Come volete che possano imporsi sui disastri della Liguria isolata? Giovanni Toti Andrea Orlando Marco Bucci Roberta Pinotti Se telefonano a Conte o al ministro del loro partito, la De Micheli, probabilmente devono accontentarsi della segretaria. La Liguria sta sprofondando in questa estate post Covid, dopo i mesi della paura e dell’isolamento personale, per una questione di isolamento collettivo e infrastrutturale. E in fondo c’è la beffa. L’unico segno di speranza è quel ponte nuovo costruito in dodici mesi al posto del Morandi, grazie a quello che hanno battezzato il "Modello Genova". Una gestione commissariale in capo all’unico uomo politico amministrativo che oggi può circolare in Liguria con la testa alta, il sindaco commissario Marco Bucci. Ma quel ponte quasi pronto (mancano solo l’asfalto e la segnaletica), probabilmente inaugurato il prossimo 1 agosto, rischia di restare una cattedrale nel deserto. Ammesso che Bucci riesca a trovare a chi consegnarlo formalmente, a chi farlo collaudare, dopo averlo costruito, lavorando come un treno, con i "magnifici" 1.000 operai, ingegneri, tecnici, dall’architetto Renzo Piano all’ultimo dei manovali, questo ponte potrebbe restare isolato nella rete italiana, come un bellissimo oggetto inutile. Circxondato dalle code.

IL PARADOSSO DI GENOVA

È "il paradosso di Genova", come lo ha battezzato il direttore de "Il Secolo XIX" Luca Ubaldeschi, in un suo editoriale. Il ponte è pronto, ma non si sa chi lo avrà in concessione. La società autostradale Aspi, della finanziaria Atlantia, con cui il governo Conte discute inutilmente da due anni per la supposta revoca della concessione stessa, l’Anas come ente dello stato incaricato di occuparsi delle strade, il commissario stesso in ultima analisi? Avremo un ponte perfetto, moderno, luccicante, collegato materialmente con la rete ma impercorribile, perché non sarà chiarito il passo amministrativo che lo potrà rendere fruibile in tutti i sensi: pedaggi, manutenzioni, traffico? È possibile. Mercoledì 8 luglio, come BlitzQuotidiano ha anticipato da un mese, la Corte Costituzionale deciderà sul ricorso che Autostrade ha presentato per contestare la sua esclusione dalla ricostruzione del ponte stesso e per "minare" tutto il decreto di legge che ha, tra l’altro, finanziato la ricostruzione e nominato Bucci commissario straordinario. Se come molti temono (e qualcuno anche nella maggioranza di governo auspica) la Suprema Corte, presieduta dalla signora Marta Cartabia (che ha fortemente voluto discutere questo ricorso prima di andare in pensione) darà ragione a Autostrade, potrebbe anche succedere che Bucci, l’eroe del ponte universalmente riconosciuto, sia annullato nella sua funzione.

BUCCI ESTROMESSO?

Nessuno lo dice, salvo l’interessato, che lo confida ai suoi fedelissimi. E il botto di un verdetto simile avrebbe conseguenze politiche che già vengono calcolate in una prospettiva di ridimensionamento della quota Benetton nella società di Atlantia e in un ingresso di Cassa Depositi e prestiti e di soci minori, come il gruppo Toto, già nel board delle autostrade abruzzesi. Intanto la Liguria continua a soffocare e non c’è previsione che l’asfissia si riduca. Molti caselli restano chiusi, i salti di corsia, le chiusure notturne di molti tratti innescano il giorno dopo caos immani nella circolazione anche nel cuore di Genova. Lentamente gli affari di un popolo nato per trafficare e comunicare si riducono, calano. Grandi compagnie di navigazione, come la cinese Cosco, annunciano di scegliere altri porti e abbandonano Genova. E l’automobilista che la deve attraversare carica in macchina la borraccia d’acqua e i suoi viveri. Sa che parte, ma non sa mai quando arriverà.

Franco Manzitti