Per oltre quarant’anni il Portogallo è stato retto da una dittatura, la più longeva d’Europa. Alla sua guida António de Oliveira Salazar, uomo complesso e dalle mille contraddizioni. La storia degli ultimi due anni di questo regime è una vicenda romanzesca e assolutamente reale narrata ora nel libro "L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte", edito da Laterza, del nostro prezioso collaboratore-opinionista Marco Ferrari, autore di numerosi volumi tra i quali "Alla rivoluzione sulla Due Cavalli" da cui è stato tratto l’omonimo film che ha vinto il pardo d’oro al festival di Locarno 2001.

Dagli anni Trenta di Hitler, Franco e Mussolini, oltre i Beatles e i Rolling Stones, fino agli anni Settanta: tanto durò il regime dittatoriale di António Salazar in Portogallo. Ex seminarista, autore di un sottile sistema di repressione, si salvò dalla Seconda guerra mondiale dando le basi delle Azzorre agli alleati e vendendo materie prime ai nazisti, creò duri penitenziari in isole remote e fortezze medioevali, trasformò Lisbona in una città di spie. Resse, fino alla fine, un immenso impero coloniale che andava dalla Guinea al Mozambico, da Timor Est a Macao finché il suo modello fascista e corporativo non venne travolto dalla Rivoluzione dei Garofani del 1974 che riportò Lisbona in Europa. In questa intervista Marco Ferrari ci racconta l’incredibile vicenda di Salazar.

Il libro narra una vicenda ai limiti del romanzesco eppure reale: cosa accadde nel 1968 ad António de Oliveira Salazar?

Nel 1968 fu colpito da un ictus cerebrale invalidante, conseguenza postuma di un banale incidente avvenuto nel Forte di Santo Antonio, dove era solito passare le vacanze pagando la retta. Dal 26 di luglio Salazar e la governante Dona Maria si erano trasferiti all’Estoril, secondo un cerimoniale tradizionale. Il loro spostamento al Forte permetteva poi la grande pulizia annuale degli uffici di São Bento. Si sedette sulla seggiola del callista – una sedia da regista - ma la stoffa si ruppe e lui batté la testa sul pavimento. Dunque l’impero portoghese cadde per colpa di Augusto Hilario, un semplice e umile callista. La sua esistenza non si era discostata di un millimetro dalle solite abitudini sino alla mattina del 3 agosto 1968, un anno pieno di avvenimenti che per nulla al mondo stavano smuovendo il sonnecchiante Portogallo. Il callista e il dittatore, non era un rapporto facile. Scavando nelle fosse dell’alluce, il callista poteva anche stuzzicare antichi ricordi e ombrose omertà. Il loro era una relazione consolidata, visto che si incontravano ogni tre settimane. Questa periodicità non era un capriccio di regime, ma una necessità fisica del dittatore. Da giovane, Salazar si era rotto il piede destro e non si era mai ripreso. Le sue ossa erano fragili, si formavano calli che gli facevano male. Per questa ragione indossava stivali da bambino molto raffinati, una caratteristica che avrebbe portato gli avversari del regime a chiamarlo con un certo disprezzo "O Botas" (Stivali). Augusto Hilario si girò per lavarsi le mani in un lavandino, attaccato al muro, pensando a come curare l’alluce valgo, i calli, le micosi ungueali, le verruche e le unghie incarnite del presidente, a come massaggiare il suo piede infermo, un difetto di cui solo la sua famiglia era a conoscenza, un segreto da custodire con cura. Ma Augusto sentì uno schianto e si voltò immediatamente. Salazar, che aveva l'abitudine di cadere pesantemente quando si sedeva, aveva calcolato male la distanza dalla sedia, una sedia di legno con una tela alle spalle. Nel pesante impatto la tela aveva ceduto e Salazar aveva battuto la testa a terra. In uno stato confusionale che durò parecchi mesi, venne sostituito al potere da Marcelo Caetano ma nessuno osò dirglielo. Nei momenti di lucidità, dunque, andava in scena la più grande finzione politica della storia d’Europa: per dimostrargli che era ancora al potere giornali e trasmissioni televisive venivano costruite solo per lui e trasmesse esclusivamente nella sua residenza di São Bento. Il libro parte proprio da quell’incidente e dalla messinscena che venne imbastita (ricorda un po’ il film "Good Bye, Lenin!" del 2003 di Wolfgang Becker) per ritornare poi alla costruzione del suo immenso potere grado per grado. Le testimonianze del suo medico Eduardo Coelho raccontano quel delicato passaggio che portò alla fine della dittatura. E grande rilevanza viene data alla donna che per 35 anni fu la sua governante, Donna Maria de Jesus Caetano Freire, forse la vera governatrice del paese.

Qual era la personalità del dittatore portoghese?

Era figlio della campagna oscurantista portoghese, aveva frequentato il seminario, aveva un carattere chiuso, quasi una personalità invisibile che comandava il più grande impero coloniale del pianeta. Pensava che il compito di guidare, civilizzare e cristianizzare la vastità dell’impero fosse un ordine che gli venisse direttamente da Dio. Per questo non avviò mai la decolonizzazione e pianse quando il Portogallo cominciò a perdere i granelli del percorso delle vie delle spezie, per primo il forte di São João Baptista de Ajudá, annesso senza troppo faticare dal Dahomey il 1agosto 1961 e poi il 17 dicembre 1961 quando, con l'operazione Vijay, l'esercito indiano occupò Goa, la Roma d’Oriente, il fiore all’occhiello della civilizzazione portoghese in Oriente. Peraltro Salazar, pur disponendo di una vastità di territori in tutti i continenti, (la famosa via delle spezie che da Lisbona passava per Guinea Bissau, Capo Verde, Sao Tomè e Principe, Angola, Mozambico, Goa, Timor Est per giungere a Macao), uscì dal Portogallo solo due volte per incontrare Francisco Franco in Spagna, pochi chilometri oltre il confine. Ma se, per caso giungeva una delegazione dall’Angola o dal Mozambico, descriveva personaggi e luoghi come se li avesse visitati. La sua testa conservava quasi un archivio totale dei portoghesi che vivevano nella madrepatria e nell’Oltremare. Era un dittatore segreto, discosto, che secondo varie testimonianze, sarebbe morto in stato di verginità e castità in conseguenza di un voto fatto alla Madonna quando era studente nel seminario di Viseu, vicino Coimbra. Non a caso sotto il regime fascista di Salazar, il culto della Madonna di Fátima fu enormemente incentivato.

Che tipo di regime aveva instaurato Salazar in Portogallo?

Nel luglio del 2020 ricorrono i 50 anni dalla scomparsa di António de Oliveira Salazar (Vimieiro, 28 aprile 1889 – Lisbona, 27 luglio 1970), il dittatore che più a lungo da governato in Europa, dal 1932 al 1968, spingendosi sino al 1970, fondatore e guida dell'Estado Novo, il governo autoritario corporativista portoghese che durò fino al 1974. Salazar mantenne il potere per quasi 40 anni con il sostegno della Chiesa e degli agrari, sopprimendo i sindacati, la libertà di stampa ed ogni altro tipo di opposizione politica o di dissidenza che potesse danneggiare l'egemonia del regime. Il supporto politico del salazarismo fu il partito unico, l'Unione Nazionale, creato nel 1933. Il supporto repressivo fu la polizia politica segreta creata nel 1933, la PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado), che sopravviverà alla morte dello stesso Salazar con il nome di DGS (Direcção General de Segurança). Erano più di 20 mila gli addetti della Pide/Dgs tra ispettori, sotto ispettori, capi brigata, agenti, informatori, funzionari e tecnici, ma è calcolato che i collaboratori ammontavano a 200 mila. Le persone assassinate e torturate sono state più di 22.800 in 40 anni di dittatura. Per darsi una struttura stabile, lontano dagli occhi indiscreti e dai famigliari, la polizia speciale creò la Colónia Penal di Tarrafal, a Chão Bom, nell’isola di Santiago, a Capoverde, come riporta un decreto legge del 23 aprile 1936. Era una sorta di Isola del Diavolo, il famigerato penitenziario della Guyana francese, dove persero la vita 32 oppositori e dove furono incarcerati i maggiori leader della lotta anticolonialista in Africa tra i quali Amilcar Cabral, l’eroe dell’indipedenza di Capo Verde e della Guine Bissau; José Luandino Vieira e António Jacinto, poeti angolani, membri del Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola. António Jacinto, a testimonianza della sua dura reclusione nel campo, ha scritto una raccolta di poesie intitolata "Sobreviver em Tarrafal de Santiago".

Quella di Salazar ha rappresentato la dittatura più longeva d’Europa: in che modo riuscì a mantenere il potere per quarant’anni, attraversando indenne la Seconda guerra mondiale?

Un uomo di estremo equilibro che, anche nella Seconda guerra mondiale, mantenne contatti con entrambi i contendenti concedendo agli anglo-statunitensi di installare basi militari nelle Azzorre per sorvegliare l'Atlantico e ai tedeschi di usufruire di materie prime. Durante la guerra oltre 100 mila ebrei trovarono rifugio in Portogallo quasi in maniera non ufficiale. Eppure quando fu annunciata la morte di Adolf Hitler, nel 1945, in Portogallo vennero esposte le bandiere a lutto.

Quale epilogo ebbe il regime?

Dalle ex colonie partì la dissoluzione della dittatura sia per la nascita di formazioni indipendentisti sia per la ribellione dei capitani, il movimento delle forze armate portoghesi che portò alla rivoluzione dei garofani, il 25 aprile del 1974. Salazar non c’era più, dopo due anni di finzione, nel 1970 era morto per davvero e il suo successore Marcelo Caetano non riuscì a conservare la fedeltà delle forze armate, formate oramai da giovani che non volevano morire nelle foreste delle colonie.

A proposito del suo ultimo libro L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte edito da Laterza si parla di biografia romanzata. Può specificare perché?

Perché si basa su fatti realmente avvenuto ammantati di un timbro di scrittura incentrato a chiarire la complessa personalità di un personaggio di campagna che governò l’ultimo grande impero coloniale del pianeta. E poi perché nei due anni in cui Salazar rimase vivo ma sostanzialmente era considerato morto, venne organizzata la più grande messinscena politica che l’’Europa abbia conosciuto. Una situazione che si presta più al racconto di finzione che alla realtà. Nessuno ebbe il coraggio di dire al dittatore che era stato sostituito, dopo quaranta anni, quattro mesi e 28 giorni di dominio. E tutto continuò come se lui detenesse ancora il potere.

Lei ha avuto un successo internazionale con il libro “Alla rivoluzione sulla Due Cavalli” edito da Sellerio da cui ha tratto la sceneggiatura dell’omonimo film che ha vinto il Pardo d’Oro al Festival del Cinema di Locarno nel 2001. Come mai questo rapporto con il Portogallo?

Ho avuto la fortuna di arrivare a Lisbona subito dopo la Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974. Allora ero un giovane cronista dell’Unità in Liguria e un ispettore delle edicole era un esule politico portoghese che ovviamente partì subito per la sua patria e mi invitò a seguirlo. Così feci e da quel viaggio ho tratto l’ispirazione per "Alla rivoluzione sulla Due Cavalli". Mancava una visione del periodo salazarista, a parte il compianto Antonio Tabucchi con "Sostiene Pereira". E anche le biografie di António Salazar sono quasi tutte scritte da chi visse quel lungo tunnel dittatoriale. Il mio è uno sguardo particolare perché affronta quel capitolo del terrore salazarista che in pochi hanno esplorato e che invece io approfondii, anche con contatti diretti con gli ex detenuti e clandestini, in quel primo viaggio del ’74 e nei successivi. Non a caso il mio libro uscirà presto in Portogallo con Editora Objectiva.

di MIMMO PORPIGLIA