Era condita con il burro la pastasciutta dei Cervi, perché nel luglio del 1943 il burro gli italiani potevano solo sognarlo. Era introvabile, razionato, preziosissimo. Era un oggetto del desiderio, come ogni cibo buono, ormai da decenni assente sulla maggior parte delle tavole. Eppure i Cervi riuscirono a metterne insieme così tanto da condirci 380 kg di pasta! I Cervi e con loro le donne e i contadini dei casolari vicini ai Campi Rossi, laggiù, nella bassa emiliana, martellata dal sole, dall’afa, dalle zanzare e dalla fame. Una fame nera, grossa, una fame che non ti permette di sentire più niente se non lo stomaco che gorgoglia e si attorciglia, perché troppo lungo e troppo vuoto.

Ma era una fame allegra quella del 25 luglio del ’43, perché, finalmente, dopo ventuno anni, la popolazione poteva festeggiare la caduta del regime, l’arresto di Mussolini - destituito dal Gran consiglio del fascismo - e la speranza di arrivare presto anche alla pace.

E allora non è difficile capire perché, per far festa, laggiù nella "Bassa", si è pensato, prima di tutto a riempire quegli stomachi lunghi e gorgoglianti. Ognuno ci mise un pezzetto di sé. Chi la farina, chi le uova, chi il burro, chi i bigonci per la cottura, chi braccia e sudore.

Perché avete una vaga idea di quante uova ci siano da impastare per mettere a tavola un intero paese? E di quanti bigonci ci siano voluti per cuocere tutti quei maccheroni?

Di quella lunga e gioiosa preparazione, immagino la frenesia delle donne che impastano la "fojeda", cantando e chiacchierando tra loro e il fermento degli uomini alla ricerca degli ingredienti necessari. Ma immagino anche gli escamotage pensati e messi a punto dai Cervi per riportare in piazza la popolazione, in tempi, paradossalmente, così simili ai nostri, in cui gli assembramenti erano vietatissimi non per ragioni sanitarie, ma perché considerati "perturbamento dell’ordine pubblico" e tradimento e come tali da reprimere senza alcuna pietà.

Forse anche per questo ci vollero due lunghi giorni per organizzare, come disse papà Cervi: "il più bel funerale che si potesse fare al fascismo". E anche oggi, a distanza di 77 anni, il discorso più bello che si possa pronunciare per la caduta del fascismo è riprodurre ancora quel bollore di pentole che all’unisono risuona in tante piazze di tutta Italia.

Già, perché la pastasciutta dei Cervi è diventata virale #pastaliberatutti, #PASTACHALLENGE e, sebbene quest’anno molte pastasciuttate siano state cancellate o limitate causa Covid, quello spirito di festa, di condivisione e di partecipazione è rimasto invariato, proprio come allora, quando in piazza ci andarono tutti e tutte. Sia chi aveva contribuito alla realizzazione e sia chi, invece, ci mise "solo" l’appetito, tanto, perché in quei tempi di guerra e tessera annonaria, ogni pasto era quasi un miracolo. Ciascuno si portò una stoviglia da casa e si mise in fila per aspettare la sua dose di maccheroni antifascisti. C’era chi si fece riempire un piatto, chi un bicchiere e chi persino una zuppiera, qualsiasi cosa andava bene pur di ricevere la propria dose di pasta e far festa.

Una festa, una pastasciuttata che, proprio perché antifascista, non escludeva nessuno, ma al contrario creava condivisione, unità e complicità. Perché, dopo venti anni di dittatura e tre anni di massacro bellico, l’antifascismo lo respiravi, lo assaporavi e lo annusavi non solo in quel piatto di pasta, ma in ogni gesto della quotidianità. Tutti erano antifascisti, perché non si poteva essere null’altro. Il fascismo aveva già offeso, umiliato, distrutto, violato. Aveva tolto i colori. Aveva azzittito, appiattito ed eliminato ogni differenza. Aveva impoverito ed affamato tutti e tutte. Ecco perché si era antifascisti e perché ciascuno si è sentito invitato a quella pastasciuttata, anche il maresciallo dei carabinieri, anche un ragazzino che indossava ancora la camicia nera.

È un gran giorno il 25 luglio! Una grande festa di condivisione, di inclusione, di speranza e di appartenenza.

E la pastasciutta dei Cervi non è solo "il più bel funerale che si potesse fare al fascismo", ma è anche il "battesimo" della futura Italia repubblicana. È la ritrovata consapevolezza di essere uniti, di essere "compagni", nel senso etimologico del termine, e come tali capaci di condividere valori fondamentali di pace, di libertà, di uguaglianza e di equità. Avete una vaga idea di quanti bigonci ci siano voluti per cuocere tutti quei maccheroni?

E poi c’è stato chi ci ha messo "solo" l’appetito. Tanto, in quei tempi di guerra e tessera annonaria, in cui ogni pasto era quasi un miracolo. Ciascuno si è portato una stoviglia da casa e si è messo in fila per aspettare la sua dose di pasta anti-fascista. Un piatto e un bicchiere, qualcuno persino una zuppiera, qualsiasi cosa andava bene pur di ricevere la propria dose di pasta.

Una pasta che, proprio perché antifascista, non escludeva nessuno, ma al contrario creava condivisione, unità e complicità. Perché, dopo venti anni di dittatura e tre anni di massacro bellico, l’anti-fascismo lo respiravi, lo assaporavi e lo annusavi non solo in quel piatto di pasta, ma in ogni gesto della quotidianità. Tutti erano antifascisti, perché non si poteva essere null’altro. Il fascismo aveva già offeso, distrutto, violato. Aveva tolto i colori. Aveva azzittito, appiattito ed eliminato ogni differenza. Aveva affamato tutti e tutte. Ecco perché si era antifascisti e perché ciascuno si è sentito invitato a quella pastasciuttata, anche il maresciallo dei carabinieri.

È un gran giorno il 25 luglio, una grande festa di condivisione, di inclusione, di speranza e di appartenenza.

È il più bel funerale che si potesse fare al fascismo, ma è soprattutto la ritrovata consapevolezza di essere uniti, di essere compagni e di poter condividere ancora valori, speranze di pace, di libertà e di uguaglianza.intero paese? Avete una vaga idea di quanti bigonci ci siano voluti per cuocere tutti quei maccheroni?

E poi c’è stato chi ci ha messo "solo" l’appetito. Tanto, in quei tempi di guerra e tessera annona- ria, in cui ogni pasto era quasi un miracolo. Ciascuno si è portato una stoviglia da casa e si è messo in fila per aspettare la sua dose di pasta anti-fascista. Un piatto e un bicchiere, qualcuno persino una zuppiera, qualsiasi cosa andava bene pur di ricevere la propria dose di pasta.
Una pasta che, proprio perché antifascista, non escludeva nessuno, ma al contrario creava condivisione, unità e complicità. Perché, dopo venti anni di dittatura e tre anni di massacro bellico, l’anti-fascismo lo respiravi, lo assaporavi e lo annusavi non solo in quel piatto di pasta, ma in ogni gesto della quotidianità. Tutti erano antifascisti, perché non si poteva essere null’altro. Il fascismo aveva già offeso, distrutto, violato. Aveva tolto i colori. Aveva azzittito, appiattito ed eliminato ogni differenza. Aveva affamato tutti e tutte. Ecco perché si era antifascisti e perché ciascuno si è sentito invitato a quella pastasciuttata, anche il maresciallo dei carabinieri.

È un gran giorno il 25 luglio, una grande festa di condivisione, di inclusione, di speranza e di appartenenza. È il più bel funerale che si potesse fare al fascismo, ma è soprattutto la ritrovata consapevolezza di essere uniti, di essere compagni e di poter condividere ancora valori, speranze di pace, di libertà e di uguaglianza.