È accaduto a Piacenza ma sarebbe potuto accadere ovunque perché quando una comunità è composta da 110mila donne e uomini è possibile che certi fatti accadano. E questi episodi fanno male perché dalle donne e dagli uomini in divisa ti aspetti professionalità, onestà, correttezza e senso delle istituzioni. E ciò prescindere dal colore della divisa che può essere anche grigioverde come quella indossata da chi questa volta ha svolto le indagini e provveduto agli arresti. Colore della divisa che può essere anche bianco come il camice di chi ogni giorno svolge il proprio lavoro in sanità a tutela della nostra salute. Anche tra i camici bianchi ci sono mele marce ma questo non vuol dire che si rende necessario dare fuoco al frutteto. Si tagliano le piante malate, si tagliano i rami secchi ed è giusto che sia così. Ma è ingiusto instillare nell’opinione pubblica il tarlo che l’intera Arma dei Carabinieri sia marcia ed abbia fatto assurgere il malcostume e la tendenza a delinquere di pochi a comportamento di sistema.

Certamente anche episodi caratterizzati da sottrazione di refurtiva e depistaggio delle indagini, come quello per il quale sembra accusato un sottoufficiale in Puglia, pongono la questione morale ad un livello più alto della semplice condotta attribuibile alla responsabilità del singolo. Chi parla di piaga di sistema ha sicuramente il diritto di farlo, e ci mancherebbe altro considerato che certe piaghe e poliennali sofferenze familiari hanno fatto chiarezza sulle umane debolezze che si nascondono sotto la divisa che si avrebbe l’onore di indossare. Però l’Arma ha dimostrato e sta dimostrando di avere al proprio interno anticorpi forti per eradicare il male che può annidarsi al proprio interno. Una comunità di oltre centomila donne e uomini è una comunità dove diviene fondamentale la prevenzione del malaffare al proprio interno e non bastano certo le prove selettive di arruolamento ad identificare ed escludere il potenziale delinquente. Si tratta pur sempre di persone con i propri vizi e le proprie virtù ed il fatto in sé di indossare una gloriosa divisa non li rende immuni da certe debolezze e dal rischio di tentare una scorciatoia pericolosa per raggiungere il sogno di una bella vita.

Che ci siano state delle falle nell’azione di comando per i fatti di Piacenza non ci vuole Basil Liddell Hart, il più noto storico inglese di arte militare, per constatarlo. L’Arma certamente si riunirà in profonda riflessione per valutare le attuali criticità che impediscono ai comandanti di non esprimere al meglio la propria azione, non tralasciando il ruolo della rappresentanza militare assunto negli ultimi anni. Altro paio di maniche è la violazione sistematica dei più elementari diritti umani imputata genericamente all’Arma da molti tra cui Carlo Bonini, Andrea Purgatori, Luca Telese e Federico Rampini in una recente trasmissione tivù. Si è arrivati a parlare di corporazione, naturalmente nell’accezione più negativa del termine. Le incresciose inchieste per la morte di Stefano Cucchi e, oggi, per le presunte torture avvenute all’interno di una caserma non devono fare dimenticare che se in Italia il diritto umanitario e i diritti umani vengono studiati nelle università lo si deve ai carabinieri, a uno in particolare, il giurista Pietro Verri.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nasce con una Convenzione delle Nazioni Unite nel 1948 e tratta dei diritti inalienabili dell’essere umano tra cui la libertà personale e la vita, il diritto umanitario nasce invece con le Convenzioni di Ginevra del 1949 e tratta la protezione dei soggetti deboli in ogni tipologia di conflitto armato. Sono discipline codificate nel Dopoguerra e per molti anni andate avanti separatamente. Negli anni settanta alcuni studiosi, tra cui il generale Pietro Verri, presero coscienza della similarità e della correlazione dei due diritti nel contesto della comune preoccupazione della protezione della persona umana e dei diritti fondamentali in tutte le situazioni in cui l’individuo si presenti debole. Se presso l’Istituto di diritto internazionale di Sanremo, tuttora fucina mondiale di riflessioni in materia, si sviluppò questa idea di sovrapposizione tra diritto di New York e diritto di Ginevra è anche merito del carabiniere Verri convinto che una violazione commessa all’interno di una caserma di polizia non poteva essere diversa da quella che si può osservare in un conflitto.

È sempre grazie al carabiniere Verri se lo studio di questa particolare branca del diritto, inizialmente circoscritto agli allievi della scuola ufficiali carabinieri, fu ritenuto di importanza per l’intera società e, di conseguenza, inserito nei corsi universitari. Verri con un altro giurista, il professor Paolo Barile, ancora ricordati congiuntamente con un premio biennale conferito agli studenti che si distinguono nello studio dei diritti umani, individuarono l’Università di Firenze quale laboratorio della nuova disciplina inserita nel corso di laurea in giurisprudenza. Furono organizzati incontri e seminari Forze armate-università ai quali non mancavano di essere presenti conferenzieri provenienti dalla Croce rossa internazionale di Ginevra, peraltro occasione feconda per molti studiosi di accostarsi e di approfondire tematiche del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

Giusto per rammentare a Bonini, Purgatori, Telese, Rampini e tanti altri denigratori dell'Arma che, se oggi tali studi non sono più di nicchia, è dovuto all’intuizione di un carabiniere tuttora ricordato dallo specifico mondo accademico. E forse grazie alla capacità di rendere accessibili e apparentemente semplici le complesse costruzioni di tale branca del diritto trasmessa da Verri agli attuali istruttori che i principi che ispirano la maggior parte dei carabinieri sono improntati a umanità e generosità. Non saranno meschini e criminali atti di tradimento di questi principi a minare le fondamenta dell’Arma.