Non c’è un euro. Al punto che qualche giorno fa il Ministero dell'Economia è stato costretto a smentire che l'Italia potrebbe rischiare una crisi di liquidità. Una situazione davvero difficile, che s'incrocia con la gestione dei fondi che arriveranno dall'Europa e rispetto ai quali siamo all'anno zero. A metà ottobre andrà presentato il Recovery plan nazionale, ma per ora al di là di titoli e slogan, nessuno ha ancora capito che cosa intenda fare davvero il Governo. In compenso è in atto un braccio di ferro durissimo tra palazzo Chigi e il Ministero dell’Economia sulla gestione delle risorse che arriveranno col Recovery Fund. Ma quei quattrini giungeranno a destinazione solo nel 2021, il che vuol dire che allo stato stiamo giocando come si fa con i soldi del Monopoli.
L'Europa ha fatto passi da gigante, giungendo addirittura a decidere di emettere con il suo bilancio titoli di debito pubblico comuni. Ma per i denari - quelli veri bisognerà aspettare. Non a caso ogni Nazione sta cercando di uscire dalle conseguenze del lockdown con mezzi propri. Chi ha i conti in ordine, come la Germania, può farlo. Noi no. Le risorse le abbiamo dilapidate, sprecandole in bonus e misure assistenzialistiche costose come il reddito di cittadinanza e quota 100: spese improduttive che affossano lo sviluppo.
I nostri dati macroeconomici sono allarmanti: il Covid ha già fatto 600mila disoccupati in più; il Pil è in caduta libera; il deficit quest’anno chiuderà in doppia cifra; il debito pubblico supererà il 160% del Pil; secondo l’Istat il 38% delle imprese è a rischio chiusura, mentre l’agenzia di rating Fitch paventa per l’Italia un quinquennio senza crescita.
Di fronte a questo mix devastante, l’unica cosa che possiamo fare è prendere i soldi europei immediatamente disponibili: che sono quelli del Mes. La linea di credito del Fondo salva-Stati, creata per finanziare le spese sanitarie e con tassi quasi a zero, è l’unico fondo comunitario immediatamente operativo. Il resto - com’è noto - rischia di arrivare a babbo morto. Dove il babbo siamo noi. Allo stato, infatti, Bruxelles non ha reso disponibili neanche i fondi per la Cassa integrazione (manca ancora il relativo regolamento attuativo).
Che cosa stiamo aspettando? Qualcuno attende forse di finire con l’acqua alla gola per far trangugiare ai Cinque Stelle la decisione di accedere al Mes sanitario? Può darsi. Ma se Conte può permettersi di temporeggiare ancora, nella speranza di evitare che la sua maggioranza si spacchi, la Nazione non può più consentirsi altri rinvii. Occorrono decisioni subito. L’Italia non può essere condannata a scegliere tra il reddito da nullafacenza e le nuove baby pensioni, tra il neosocialismo alla venezuelana e una deriva argentina.
Stiamo parlando degli stessi che in meno di 4 mesi hanno erogato alle imprese appena il 13% dei prestiti garantiti dallo Stato. Un disastro figlio dell’incapacità di diramare i decreti attuativi necessari a trasformare in fatti le promesse scritte nei decreti dei mesi scorsi. Per non parlare delle casse integrazioni in deroga non ancora arrivate. Meriterebbero di essere cacciati a pedate. Invece sono gli stessi che dovranno gestire i 209 miliardi promessi dall’Ue.
Come facciamo a meravigliarci del fatto che poi in Europa non si fidano di noi? Siamo seri, per favore. Almeno adesso. Piaccia o meno, il Mes dovrà essere attivato. Perché quei 37 miliardi sono necessari: pochi, maledetti e subito. La maggioranza lo ha anche implicitamente ammesso nella risoluzione approvata con lo scostamento di bilancio. D’altra parte la proroga dello Stato d’emergenza serve esattamente a questo. I partiti che hanno votato quella decisione - compreso M5S - lo sanno benissimo. Tanto vale non perdere altro tempo.

dalla redazione centrale