E mo’ son cavoli. Quello che dall'inizio era parso un pasticcio – votare sì ad una riforma della Costituzione a cui si era votato contro per ben tre volte, in cambio di generiche promesse – mi pare si stia trasformando per il PD in un guaio piuttosto serio. Non parliamo infatti di una cosetta, né dal punto di vista politico né per le ricadute che potrebbe avere sulla già fragile democrazia italiana. Parliamo del provvedimento "bandiera" del populismo a 5 stelle, benedetto dal populismo di destra e infine dall'intera aula di Montecitorio – con l'unica eccezione dei deputati di +Europa – in un impeto autolesionistico in cui, per sembrare dalla parte del popolo, per non rischiare un'oncia di consenso, la casta ha pensato bene di dichiarare guerra alla casta, accettando di descriversi come una banda di
poltronari privilegiati mangia-pane-a-tradimento, il male assoluto da estirpare o quantomeno da amputare - diciamo del 30% - in cambio di un risparmio che i grillini millantano superiore ai 500 milioni e l'Osservatorio Cottarelli ha quantificato in 57 milioni scarsi (lo 0,007 della spesa pubblica) e Sabino Cassese ha riportato alla sua concreta entità: parliamo di 1/7 del costo di uno solo dei novanta F35 che l'Italia si è impegnata a comprare.
Tutto questo senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze, che pure occorre ricordare: riducendo i parlamentari da 915 a 600 l’Italia diventerà il Paese con il peggior rapporto tra numero di cittadini ed eletti, allontanando ancora di più gli uni dagli altri; verrà spazzato via il principio di rappresentatività territoriale, a danno principalmente delle aree interne e meno popolate; i parlamentari saranno scelti in liste bloccate ancora più corte e totalmente nelle mani dei leader nazionali; la rappresentanza degli italiani all'estero si ridurrà ad un deputato ogni 688.000 cittadini e ad un senatore ogni 1.375.000, con un'evidente discriminazione determinata dalla residenza; il parlamento sarà più debole nei confronti del governo e basterà il trasformismo di pochi senatori per determinare cambi di equilibri e di maggioranze; il funzionamento delle commissioni sarà pregiudicato dall’esiguo
numero di parlamentari; eccetera.
A questo disastro il PD si è ripetutamente e meritoriamente opposto, facendo argine. Finché non si è trovato a trattare coi 5Stelle la formazione del nuovo governo, l’estate scorsa, e lì ha calato le braghe.
Galeotti furono i correttivi, ovvero le promesse di aggiustamenti legislativi che avrebbero – si disse – reso accettabile ciò che fino al giorno prima era indigeribile: l'equiparazione dell'elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato, l'eliminazione del principio della base regionale per il Senato – necessaria per assicurare il pluralismo territoriale -, una serie di altri piccoli interventi e, soprattutto, la nuova legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5%. Fatto l'accordo il Pd ingoia il rospo (insieme a Leu e Italia Viva, va detto) e si unisce alla maggioranza bulgara che l’8 ottobre scorso approva il taglio di 345 parlamentari.
Senonché i correttivi non arrivano, neanche l'ombra. Soprattutto non si parla più di legge proporzionale. Italia Viva si sfila, i 5Stelle fanno i pesci in barile. Ed è così che il taglio a cui anche il PD ha detto sì diventa – Bettini per primo dixit – un pericolo per gli equilibri democratici. Lo segue a ruota il Segretario: senza legge elettorale il taglio è pericoloso.
Argomenta Graziano Delrio: "La riduzione dei deputati e dei senatori, abbinata all'attuale legge ipermaggioritaria, crea uno squilibrio serio per l’assetto istituzionale del Paese: può produrre maggioranze in grado di cambiare da sole la Costituzione", senza contare che senza correttivo si rischierebbe "di non avere la rappresentanza piena di tutte le forze politiche e di tutte le Regioni, specie le più piccole". Conclusione: "Fare il taglio dei parlamentari senza una nuova legge proporzionale sarebbe un suicidio per la democrazia".
E dunque, la legge elettorale. Italia Viva sfugge, Forza Italia manda segnali. Fatto sta che siamo al 5 di agosto, tra pochi giorni il parlamento chiude e il 20 settembre si vota per il referendum confermativo del taglio. Che si fa? Le possibilità parrebbero due.
La prima: il pressing del PD forza gli alleati al rispetto dei patti e a stringere i tempi, e miracolosamente si arriva a votare il proporzionale – più gli altri correttivi istituzionali e le garanzie sul funzionamento delle Camere – almeno in un ramo del Parlamento; in questo caso il Partito Democratico mantiene il suo "sì ufficiale" rispetto al referendum, auspicabilmente lasciando liberi i suoi militanti di esprimersi secondo coscienza ("Ai referendum, specie se si tratta di difendere la Costituzione, la libertà di coscienza è sempre assicurata", ha chiosato Delrio).
La seconda è che non succede nulla. Non si trova la quadra sulla legge elettorale, non ci sono i tempi, e il 20 settembre ci arriva addosso senza che sia stato possibile piantare i paletti che eviterebbero "il suicidio della democrazia". Io credo che a quel punto il PD non possa che schierarsi per il "no".
Proprio per le ragioni ben dette da Bettini, Zingaretti e Delrio. Se quel taglio (senza correttivi) mette in discussione l’equilibrio costituzionale il Partito Democratico non se ne può in alcun modo rendere complice.
Senonché l’alternativa prospettata – riusciamo a fare i correttivi, non riusciamo a farli – è solo apparente. Se anche si riuscisse infatti a votare il proporzionale – cosa che certo mitigherebbe gli effetti nefasti dell'amputazione voluta dai populisti – nessuno può assicurare che domani, o tra due anni, o tra dieci, con una semplice legge ordinaria, lo schema elettorale non venga nuovamente modificato. Le leggi elettorali si fanno e si disfano. Solo dal 1990 è accaduto quattro volte (senza contare la legge elettorale voluta da Renzi, mai utilizzata) portandoci attraverso i vari Mattarellum, Porcellum, Consultellum e Rosatellum. Leggi più o meno proporzionali, più o meno maggioritarie. E dunque è assai facile che possa di nuovo accadere, a seconda delle convenienze del momento.
Senonché da un taglio dei parlamentari – che è invece materia costituzionale – non si torna indietro. E dunque non è questione di correttivi. Se anche si dovesse arrivare in extremis ad approvare il proporzionale: la sostanza non cambia. Al prossimo giro potrebbe benissimo tornare l’"ipermaggioritario", con tutti i rischi del caso. La verità è che il PD ha fatto un errore madornale nel piegarsi al populismo e alla cultura antiparlamentare dei 5Stelle, e adesso l’unica dignitosa via d'uscita è ammetterlo e sperare che il 20 settembre la maggioranza dei cittadini dica di no ad una riforma che mina i fondamenti della nostra democrazia rappresentativa (e per fortuna che abbiamo almeno il referendum, mi verrebbe da dire).

GIORGIO GORI