L'aspetto meraviglioso della democrazia, e ragione ultima della sua esistenza, è che il governo governa con il consenso dei governati. Questa è l’essenza della democrazia. Tutti gli altri sistemi, comunque connotati, dal fascismo al comunismo, non rispettano questo assioma. Qualcuno obietterà che Hitler è andato al potere con il voto; che Mussolini ha avuto l’incarico di formare il governo dal re, perciò in maniera legittima; che il comunismo sovietico è nato da una rivoluzione, perciò con una grande partecipazione popolare. Vero. Allora bisogna riformulare la definizione aggiungendo l’avverbio “sempre”. La democrazia è tale perché il governo viene esercitato sempre, non solo per un momento o per un periodo limitato di tempo, ma sempre, con il consenso dei governati. I quali, per conseguenza, hanno sempre la possibilità, se lo desiderano, di cambiare il governo secondo regole date.

L’attualità poi ci mette davanti a un referendum in cui si dovrà decidere se è meglio (sembrerebbe dal punto di vista dell’irrilevante risparmio sui costi) ridurre della metà i rappresentanti del Parlamento. Una misura che non cambia nulla rispetto al problema della qualità della politica, o meglio della qualità delle decisioni politiche; a meno che non si affermi che se a decidere sono in meno persone, allora è meglio per principio; ma per principio sembra vero l’opposto: che se a decidere sono in più persone è certamente meglio. Sia meglio o sia peggio avere più decisori o più rappresentanti, restano comunque i grandi problemi a cui abbiamo accennato.

La qualità della democrazia è fatta di molte cose. Il primo punto è la partecipazione dei cittadini alla vita politica, non solo al momento del voto, ma nell’intero ciclo della politica. Qui il nodo sono i partiti: trent’anni fa c’erano oltre 5milioni di iscritti ai vari partiti, adesso la stessa iscrizione formale in tanti partiti neppure esiste e se sommiamo quelli dove esiste, siamo abbondantemente sotto il milione di iscritti. Si obietterà che non è necessario essere iscritti a un partito per partecipare alla vita politica. Vero. Anche se non verissimo. Abbiamo però un altro indicatore del fenomeno: il numero di votanti, o meglio di voti validi: nel corso delle legislature è costantemente diminuito. Insomma, da qualunque parte si prenda il problema, troveremo sempre indicatori che mostrano una partecipazione politica dei cittadini, diretta e personale, decrescente. Questo fenomeno è incontrovertibile.

Nel momento in cui si prospetta di passare a un sistema proporzionale puro, questa circostanza diventa cruciale. Dare un grande potere decisionale a partiti composti da 5milioni di persone non è la stessa cosa che dare lo stesso potere decisionale a partiti che rappresentano 500mila persone su 60milioni. C’è, appunto, un problema di qualità della democrazia. Restiamo sempre sul sistema elettorale. Oggi gli elettori hanno la netta

Assunto questo principio, ne traiamo la conseguenza che tanto più questo principio viene avverato nella realtà, tanto più saremo davanti a una democrazia solida e compiuta, tanto meno siamo vicini da questo principio tanto meno avremo una reale democrazia.

Da più parti si sostiene (non è qui il caso di citare gli autori, ma esiste oramai una grande letteratura su questo) che la democrazia oggi sia come scarnificata, cioè rimangono in piedi i suoi fondamenti formali come il voto, la libera associazione in partiti e movimenti, la libertà di parola, ma qualcosa di essenziale non funziona più, cioè sempre meno le persone “sentono” di poter determinare le decisioni politiche; detto da una prospettiva opposta, significa che i governanti sempre meno mostrano di aver bisogno del “consenso” consapevole dei governati.

O meglio, il consenso che riescono ad ottenere è così talmente mediato da circostanze legate alle tecniche di comunicazione di massa, che appare molto più un consenso da “audience” (preferisco passivamente questo programma o quel personaggio piuttosto che altri) che da un informato contributo alla determinazione delle decisioni politiche. Siamo davanti a un problema di qualità della democrazia. Sensazione che siano loro a stabilire chi sarà il sindaco della loro città e anche il presidente della loro regione. Lo sentono chiaramente, palesemente, convintamente.

Già adesso, con un sistema misto, proporzionale e maggioritario, non hanno la stessa sensazione di scegliere compiutamente e direttamente chi li dovrà governare. Il principio essenziale della democrazia è appunto quello del governo con il consenso dei governati. Il sindaco della città sente (e anche il presidente della regione sente) che questo consenso c’è. Il ruolo di protagonisti dei presidenti delle regioni nella vicenda epidemia è stato sostenuto proprio da questa convinzione. Anche questa è qualità della democrazia.

Altro punto cruciale è quello dei soldi. Oggi c’è un contributo privato regolato e un contributo attraverso la dichiarazione dei redditi dei singoli contribuenti. Non c’è più il finanziamento pubblico. Nel frattempo la politica, cioè le campagne elettorali, sono diventate anche più costose.

Dobbiamo domandarci se l’attuale sistema permette e garantisca l’autonomia delle forze politiche e la possibilità che nella politica vi sia un ricambio di partiti, di dirigenti al loro interno e di nuove offerte politiche che si possono presentare sulla scena. Sembrerebbe di no. Il potere economico si è spostato ai gruppi parlamentari. Il che non è necessariamente un male, ma bisogna capire come congegnare un sistema di regole che permetta un finanziamento pubblico di base (a cui dovrebbe essere associata una costituzionalizzazione dei partiti, cioè la creazione di norme oggettive di funzionamento dei partiti medesimi); un finanziamento dei privati con limiti meno angusti, ma impostati al massimo della pubblicità; l’incentivazione, non economica, ma di servizi per eventuali nuove forze politiche. In questo modo ci sarebbe certamente un incremento della qualità della politica: una politica opaca sulle sue forme di finanziamento è decisamente una politica senza qualità. Siccome la politica vive dentro la società, anzi ne è la sintesi più compiuta, bisogna domandarsi come il cambiamento epocale determinato dall’avvento del mondo digitale, che ha cambiato le nostre vite quotidiane, le forme di comunicazione, l’organizzazione delle imprese e l’intera economia, possa interagire, integrarsi e dare nuova vitalità alla politica. Il mito della democrazia diretta ha già dato troppe prove del suo cattivo funzionamento, ma è impossibile pensare oggi alla partecipazione politica senza prevedere un ruolo del mondo digitale (dai social media alla possibilità di consultare in tempo reale un numero teoricamente illimitato di persone).

La politica ha bisogno, per rivitalizzarsi, di incorporare questo universo, attraverso un uso misto della parte fisica e della parte virtuale, oltre che di una garanzia pubblica che le consultazioni siano realmente trasparenti, indipendenti e gestite da soggetti terzi rispetto ai competitor politici. Questa rivoluzione può cambiare il volto della politica.

La democrazia oggi è colpita in vario modo e intensità. Da alcune parti si tende a denigrare la democrazia (dalla Russia al Brasile) perché poco aderente all’identità nazionale; da altre parti si tende a ridurre la democrazia a un simulacro che tradisce sé stessa (Ungheria et similia).

C’è poi la nuova potenza globale cinese che è fondata sull’asserzione (suggestiva, ma non dimostrata) dell’inferiorità della democrazia in termini di crescita economica e di efficace raggiungimento degli obiettivi collettivi.

Insomma, la democrazia è accerchiata sia sul piano materiale che su quello ideale. Ci sono molti modi e strumenti, e anche molte occasioni per rivitalizzare la democrazia per (ri)dare senso e ragione della sua superiorità. Occorre metterli in pratica, essere convinti che se la democrazia cede sul principio stesso della sua esistenza, ci saranno poche frecce al suo arco per difenderla da chi la vorrebbe cancellare il prima possibile.

Antonio Preiti