Il 20 settembre, oltre che per le regionali, si voterà - a meno che la Corte Costituzionale non accolga i ricorsi dei comitati per il no - sul referendum costituzionale per confermare il taglio dei parlamentari voluto dai grillini, che porta la Camera da 630 a 400 membri e il Senato da 315 a 200. Il taglio è stato supinamente accettato da tutti i partner di governo del Cinquestelle, un po’ per paura di essere accusati di difendere la casta e, soprattutto, per restare (Salvini) o andare (Zingaretti e Renzi) al governo.

È una riforma pessima

La riduzione del numero dei parlamentari è un obiettivo condivisibile se accompagnato da un cambiamento complessivo del sistema istituzionale. Per questo a suo tempo ho combattuto per far passare la riforma Renzi, bocciata dal referendum del 2016, che riduceva sì il numero dei parlamentari, ma superava il bicameralismo paritario, differenziando la composizione e dunque le competenze delle camere, anche con riguardo al rapporto di fiducia, e riordinava il rapporto tra Stato e regioni.

Il taglio per il taglio, invece, non solo non porta benefici sostanziali (i risparmi saranno meno di 60 milioni all’anno secondo l’Osservatorio dei Conti Pubblici) ma crea fortissime distorsioni. In primo luogo, essendo l’elezione del Senato fatta su base regionale perché lo prevede la Costituzione, la soglia implicita al di sotto della quale un partito non ottiene eletti nella quota proporzionale, già alta nel sistema vigente, si innalzerà enormemente, in taluni casi addirittura sopra il 20%.

Il risultato sarà la trasformazione della quota proporzionale al Senato in una specie di maggioritario mascherato, in cui – nelle regioni più piccole con in palio un numero di seggi ridotto - solo i partiti più grandi otterranno eletti. Ma se si vuole il maggioritario (ed io lo vorrei) bisogna avere il coraggio di adottarlo esplicitamente, e non in una sola camera. La seconda distorsione ha a che fare con la dimensione dei collegi, che saranno molto più grandi. Al Senato, i collegi uninominali avranno una dimensione media superiore agli 800.000 elettori, alla Camera di oltre 400.000. Ne deriverà un ulteriore distacco tra parlamentari e territorio e gli eletti si concentreranno nelle zone a più alta densità di popolazione, favorendo chi proviene dalle grandi città e danneggiando chi viene, ad esempio, dalle aree di montagna o dai litorali.

Grandissime parti di territorio rischiano di restare senza rappresentanza e di fatto anche il maggioritario sara solo una finzione. La riduzione dei parlamentari poi, non sarà proporzionale tra le regioni: alcune (Umbria, Basilicata) perderanno quasi il 60% dei seggi, a fronte di una media pari al 36,5%. In Trentino Alto Adige, per contro, la riduzione sarà solo del 14,3%. Un altro effetto distorsivo è quello relativo al peso dei delegati delle Regioni nell’elezione del Presidente della Repubblica, che, restandone invariato il numero, passerà senza ragione alcuna, dall’attuale 5,7% all’8,8%. Infine, il taglio dei parlamentari, che sembra lineare, sarà invece devastante al Senato, perché il funzionamento dei lavori dovrà essere stravolto. Ad esempio, non sarà più possibile avere 14 commissioni, se non a costo di forzature e doppie cariche.

Sarà difficilissimo organizzare i lavori, perché se un senatore sarà in più di una commissione, non sarà possibile tenere le riunioni in contemporanea. E la proporzionalità tra gruppi in aula e commissione, imposta dalla Costituzione, sarà difficilissima da ottenere. Senza interventi regolamentari, il taglio sarà disastroso. Un’ultima cosa: leggerete che "l’Italia ha più parlamentari degli altri paesi" e che "con il taglio ci avvicineremo alla media europea". Altra sciocchezza: chi lo dice fa la somma delle due camere a prescindere dalle funzioni. Ma per avere un senso il calcolo deve essere fatto guardando solo alle camere con competenze piene. In altre parole, qual è il rapporto cittadini/parlamentari che approvano le leggi e votano la fiducia? In Italia, post taglio, alla Camera sarà eletto un deputato ogni 151mila abitanti (0,7/1000): il rapporto più alto d’Europa (dati pubblicati su Openpolis). Oggi il rapporto è 1/95.000.

Anche questo contribuirà all’allontanamento dei parlamentari dai cittadini. Zingaretti e Renzi tutte queste cose le sapevano perfettamente quando hanno votato il taglio, ma si sono giustificati promettendo che avrebbero rimediato ai diversi problemi con una nuova legge elettorale, con riforme costituzionali e con modifiche dei Regolamenti parlamentari. Il tutto sancito in un foglietto privo di contenuti firmato a dicembre. Nel caso più ottimistico, per fare le riforme promesse, servirebbero 12 voti in assemblea tra camera e senato. Ad oggi ce ne è stato uno solo, sul tema più facile, quello dell’età degli elettori del Senato. Tutto il resto, inclusa la legge elettorale, è in alto mare. Ed è molto difficile che qualcosa si muova. Per questo, il 20 settembre, la conclusione può essere una sola: NO.

ANDREA MAZZIOTTI

GIÀ PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI DELLA CAMERA