Diverse misure varate dal Governo italiano per sostenere l’economia duramente colpita dal coronavirus vanno nella giusta direzione. Positivo è stato lo sforzo (anche se solo appena cominciato) per semplificare le procedure e velocizzare le autorizzazioni agli investimenti in infrastrutture e reti. Utili gli incentivi per l’edilizia, le ristrutturazioni e il risparmio energetico; quelli per rilanciare gli investimenti tecnici delle imprese; quelli per favorire l’occupazione, soprattutto al Sud (anche se si tratta solo un primo e isolato passo). E importante è stata la decisione di ampliare la misura degli 80 euro fino a 100 euro estendendo anche la platea dei beneficiari.

Nonostante il lockdown molto più duro attuato dall’Italia rispetto agli altri Paesi, i dati sul Pil del primo semestre mostrano che la nostra economia per ora ha sorprendentemente sofferto di meno di quelle degli altri maggiori attori europei. Infatti, nel primo semestre 2020 il Pil italiano è diminuito dell’11,4% rispetto allo stesso semestre del 2019, contro cali dell’11,7% per il Regno Unito, del 12,4% per la Francia e del 13,1% per la Spagna. Solo la Germania ha fatto meglio, si fa per dire, contenendo la flessione in un meno 6,9%. Diversamente da quella tedesca, spiegabile principalmente con una chiusura minore e più limitata nel tempo delle attività produttive, la resilienza italiana è stata dovuta al fatto che la nostra economia è entrata nel tunnel del coronavirus con una buona dinamica "ereditata", sostenuta dalle riforme degli anni precedenti (Industria 4.0, Jobs Act e decontribuzioni in primis), nonché dalle misure di sostegno ai consumi delle famiglie (tra cui gli 80 euro).

È singolare che dopo aver invocato per anni cambiamenti e riforme, il mondo italiano degli analisti e dei media non abbia mai riconosciuto se non in minima parte l’efficacia delle politiche industriali e fiscali realizzate tra il 2014 e il 2018. Eppure, basterebbe guardare i dati per rendersene conto. Dall’avvio della circolazione monetaria della moneta unica non era mai capitato che gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto crescessero così tanto in termini reali in Italia come nel 2016 e 2017: +8% e +6,4%, rispettivamente (surclassando i valori medi dell’Euroarea, inferiori di oltre due punti percentuali). Ciò grazie al piano Industria 4.0.

Né era mai capitato che i consumi delle famiglie italiane aumentassero dell’1,9% (allo stesso tasso medio dell’Euroarea) come nel 2015, con la piena applicazione degli 80 euro su 12 mesi e la forte ripresa dell’occupazione favorita dalle misure per il mercato del lavoro. Di quelle iniziative economiche e dei loro positivi riflessi indotti ha beneficiato soprattutto la nostra industria, che negli ultimi anni ha guadagnato enormemente in produttività e competitività. Infatti, nel quinquennio 2015-2019 l’Italia ha fatto registrare il maggior incremento medio annuo della produttività del lavoro nella manifattura tra i maggiori Paesi della moneta unica (+1,8%), assieme all’Austria, nettamente davanti a Francia (+1,2%) e Germania (+0,5%).

E, come ha rivelato l’ultimo rapporto ICE-Istat, prima che divampasse la crisi mondiale del coronavirus il nostro export era entrato nel 2020 a vele spiegate, reduce nel 2019 da un nuovo record storico del surplus manifatturiero con l’estero, per la prima volta oltre i 100 miliardi di euro. Ma questa volta non basterà "rinfrescare" e incrementare gli 80 euro e Industria 4.0 per far ripartire i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese. Quando il Governo Renzi ideò queste misure l’economia italiana era pronta a scattare come una molla dopo una profonda e interminabile doppia recessione. E gli effetti di quelle misure furono concreti, come abbiamo visto dai risultati sopracitati. Adesso, invece, i nuovi provvedimenti certamente serviranno in questa particolare fase difficile a sorreggere il potere d’acquisto del ceto medio e a dare continuità agli investimenti dell’élite delle nostre imprese più dinamiche e innovative.

Ma, come ha sottolineato il premio Nobel per l’economia Michael Spence, in tutto il mondo la fiducia e i comportamenti dei consumatori sono molto cambiati con il coronavirus. E certamente ciò interessa anche i consumatori italiani, che hanno altresì davanti un autunno-inverno in cui molti occupati a rischio non saranno più artificialmente protetti dagli ammortizzatori sociali che progressivamente verranno meno. La legge della domanda e dell’offerta tornerà a governare il mercato del lavoro e se gli occupati caleranno, diminuirà ulteriormente anche la spinta ai consumi. Nello stesso tempo, l’enorme sovracapacità produttiva generata dal crollo della domanda interna ed estera frenerà gli investimenti della maggior parte delle imprese "normali".

Né possiamo sperare che possa salvarci l’export, visto che il commercio intracomunitario e mondiale rimarrà tramortito a lungo dalla crisi del Covid-19. Ecco allora che la strada della ripresa italiana potrà essere imboccata soltanto con un vigoroso piano di rilancio delle opere pubbliche e dei cantieri di quelle grandi imprese pubbliche e private che hanno bloccati da anni programmi di investimento importanti su scala nazionale. Edilizia scolastica, antisismica, investimenti nella sanità, interventi contro il dissesto idrogeologico, autostrade, alta velocità e capacità ferroviaria, aeroporti e porti, banda larga, reti energetiche, gasdotti, acquedotti, economia green.

Tutto questo, assieme a un profondo ammodernamento della Pubblica amministrazione, non solo potrà farci uscire più presto dalla crisi, ma, grazie anche al sostegno dei fondi europei, potrà far fare al Paese quel salto di innovazione di sistema che sarà necessario per continuare a competere nel XXI Secolo, dopo l’auspicabile fine della pandemia.

MARCO FORTIS