20 Agosto 2020. È passato un anno da quando quella manina leggermente poggiata sulla spalla lo ha fatto andare a fondo. Salvini un anno fa. Durante l’intervento di Conte, il Conducator padano aveva dato sfogo a tutto l’insulso repertorio di mossette di cui è capace. Poi è andato al posto suo, spostandosi dai banchi del Governo a quelli dell’opposizione. Da lì, al solito agitato, ha sciorinato il solito stucchevole elenco di cose non fatte dal Governo, come se lui non ne fosse stato il vice premier. Poi, incassati gli applausi del pubblico pagante, si è messo seduto. Un po’ acciaccato invero. Forse aveva già capito di aver fatto una sciocchezza, di aver dilapidato un patrimonio di consensi solo per soddisfare la propria bulimia di potere. Dopo, la strada è stata tutta in salita. Aveva perso completamente la bussola. Infine, ci si è messo anche il Covid e soprattutto il lockdown ad impedirgli di perpetrare la narrazione tarocca con la quale ha sparso terrore durante il suo Consolato. L’invasione dello straniero. Praticamente l’unico argomento con il quale ha raccolto il consenso. Adesso, non poteva più essere efficacemente speso.

IN TV ANDAVANO SOLO CONTE E I VIROLOGI Per mettersi in pari, ha provato pure ad indossare camice e occhiali da scienziato. Ma niente, non ha funzionato. Lo ha dovuto chiudere il suo personale teatro di Grand Guignol. La gente, anche i suoi followers, aveva paura del virus non dei migranti. Ed era una paura vera quella. E lui di fronte a quella emergenza ha mostrato la sua pochezza umana prima che politica. I suoi tristissimi video, moltiplicati via social, dai quali si sbracciava solitario urlando "Aprire tutto", "Chiudere tutto", "Riaprire tutto", a seconda se parlava nei giorni dispari o in quelli pari, decisamente non hanno dato l’idea di uno con le idee chiare. Poi, cessata l’emergenza sanitaria, è arrivato il colpo di grazia. Conte, tornando da Bruxelles, ha portato a casa più di 200 miliardi di Euro. E li ha avuti alle stesse condizioni con cui Salvini avrebbe voluto arrivassero. Senza il Mes che intanto, con un’altra fantasiosa narrazione, lui aveva caricato di insopportabili condizionalità, che esistevano solo nella visione ideologica delle destre.

KNOCK OUT 10/12 punti di consenso perduti in pochi mesi, roba riuscita solo a quell’altro egolatra che porta il suo stesso nome. Intanto, in casa sua, un competitor di rango cominciava a farsi vedere. È il veneto Luca Zaia che, seppur convinto che i cinesi mangino topi, ha poi affrontato bene, nella sua Regione, l’emergenza sanitaria, dimostrando capacità e buon senso. È una ottima alternativa per il ricco e pragmatico nord/ nord-est, a cui il denaro europeo serve per far ripartire l’economia in crisi. Ciò significa trovare accordi a Roma, sedersi ai tavoli dove verrà deciso il loro impiego, insomma trattare, trovare compromessi. Che è quello che deve poi fare la politica. Gli industriali e la finanza del nord vedono come loro mandatari meglio Giancarlo Giorgetti e Zaia piuttosto di uno che, con la bocca piena di soppressata, non fa altro che ululare contro quattro disperati alla fonda nel mediterraneo. E poi, visto che le elezioni anticipate pare nessuno le voglia più, non è pensabile che il Partito del Nord voglia andare al voto tra 2 anni con un leader sub iudice e con il rischio che, se pure vince le elezioni, in base alla legge Severino, sia costretto ad andare a casa.

DIPENDERÀ MOLTO DALL’ESITO DELLE ELEZIONI REGIONALI È quello il banco di prova dove si misurerà la capacità di tenuta del Leader leghista. Che infatti tradisce sempre più la paura di andare anzitempo in soffitta. E dato che non ha mai fatto altro nella vita se non occupare scranni ben pagati, in effetti per lui non è una gran bella prospettiva.

ANTONIO BUTTAZZO