"Sì, esatto: la figlia di Scalfaro, il figlio di Zaccagnini e la nipote di Calamandrei". Eccola,  Rosy Bindi, solita pasionaria, perché "mica servono gli incarichi per difendere la Costituzione". Ha appena presentato un documento, in cui si invita a votare No al referendum. E in calce parecchie firme che evocano il fascino del Novecento e delle culture costitutive della Carta. C'è anche la centenaria Marisa Rodano e il quasi centenario Guido Bodrato. E poi Don Ciotti di Libera, Susanna Camusso, l'Anpi, l'ex presidente del Senato Pietro Grasso.

Bindi, dalla passione politica proprio non ci si dimette mai.

Mai. E questo documento è una spiegazione e un invito a votare No senza secondi fini, perché la Costituzione viene prima di tutto. L'ho sempre pensata e lo faccio anche in questa circostanza che sono lontana dalla politica attiva.

Il segretario Nicola Zingaretti è stato molto duro con chi vota No: "Chi vota no lo fa per indebolire il Governo e il Pd". Lei vuole far saltare il Governo?

Ma no. È un approccio che non mi appartiene e non ha mai appartenuto alla sinistra. La Costituzione viene prima dei Governi, sempre, non solo quando il Governo è Renzi o Berlusconi ma anche col Governo amico. Anche Renzi fece l'errore di legare il tema del Governo a quello della Costituzione.

E lei votò No anche allora.

Certo, fece anche firmare i parlamentari di maggioranza per chiedere il referendum che è uno strumento di tutela delle minoranze. La mia fu una scelta di metodo, perché il metodo era sostanza in quanto incostituzionale. Piuttosto ribalterei il ragionamento di Zingaretti: proprio perché ho a cuore la Costituzione, sono tra i più interessati affinché il Governo arrivi a fine legislatura perché in mezzo a questo percorso c'è l'elezione del presidente della Repubblica, che della Costituzione è il supremo garante.

Anche stavolta vota No per il metodo?

Anche per il merito. Ho sempre ritenuto che si potesse intervenire sul numero dei parlamentari, nell'ambito di un disegno organico di riforma in grado di superare il bicameralismo perfetto. Non è questo il caso, in quanto il taglio lineare lascia irrisolti i problemi di fondo della democrazia parlamentati. È una riforma sbagliata e pericolosa, che aggrava tutti i problemi esistenti.

È semplicemente un pasticcio o produce una deriva autoritaria?

Ci vedo certamente un pasticcio, ma non sempre i risultati dipendono dalle intenzioni, talvolta possono scappare di mano. E i pasticci sono fonti di derive, nella misura in cui viene indebolito il Parlamento e la rappresentanza. Questa scelta introduce nella modifica della Costituzione una torsione demagogica e populistica. Mi chiedo: ma perché ci si concentra sempre sul Parlamento e mai sui poteri veri del paese? Un Parlamento debole mina la vita democratica e apre la strada ai poteri forti, questa è la verità.

Le giro l'obiezione: da tempo la sinistra vuole la riduzione dei parlamentari, la legge elettorale si farà, quale è il problema?

Intanto la legge elettorale non c'è, quantomeno le due riforme dovevano essere contestuali. La modifica della legge elettorale è essenziale. Il problema più grave di questi anni non è il numero, ma la mancanza di scelta da parte dell'elettorato dei suoi rappresentanti. Da anni abbiamo Parlamenti scelti dalle segreterie dei partiti e questo crea un forte scollamento tra rappresentanti e rappresentati.

Se ci fosse stata la legge elettorale avrebbe votato Sì?

No, il vero problema è che il taglio doveva accompagnarsi al superamento del bicameralismo e alla modifica dei regolamenti parlamentari altrimenti non ha senso parlare di semplificazione, ma si aggravano i problemi che ci sono: il Parlamento funzionerà peggio, sarà ancora più oligarchico, per non parlare della mortificazione delle regioni piccole e delle zone meno popolati.

Lei è ancora del Pd, partito di cui è tra i fondatori?

Diciamo che sono senza patria partitica. Non rinnegherò mai gli elementi fondativi ma faccio fatica a riconoscermi nel percorso degli ultimi anni, pur approvando la scelta di questo governo. Però un partito non è solo un onesto, leale e competente sostegno al governo, è una visione. Faccio fatica a trovarla. Anche in questa vicenda del referendum: un grande partito non antepone mai la tattica alla strategia. E invece prima si vota no, poi sì. Questo aspetto non poteva e non doveva essere considerato un dettaglio nella formazione del governo.

Pensa che il voto avrà conseguenze sul governo e nel Pd?

Se vincono i sì, il governo rischia.

Prego?

Beh, certo. Se gli italiani vogliono un Parlamento di 600 persone, anche un bambino, di destra, sarà in grado di sostenere che questo è un Parlamento politicamente delegittimato, anche se non è così. Sa quale è il paradosso?

Quale?

Il paradosso è che la riforma è stata voluta dai Cinque Stelle ma se ne avvarrà le destra populista. E il Pd ne uscirà lacerato. Poteva essere coerente con quanto aveva votato in Parlamento in questi anni.

Ha la voce amareggiata.

Sì, ma non è una delusione personale. Nella mia visione il Pd dovrebbe essere il perno dell'alternativa alle difficoltà che sta vivendo il paese. Se questo perno viene a mancare si fa fatica a costruire una alternativa. Anche nel nostro piccolo quell'elenco di firme è l'elenco di orientamenti culturali, politici nell'ambito del vasto mondo della sinistra. Lo scollamento della realpolitik delle classi dirigenti con l'orientamento della base è un altro segnale di crisi.

Anche perché, diciamocelo, comunque vada la vittoria se la intesta Di Maio.

Nella migliore se la intesta lui, nella peggiore le destre.

Ma le pare possibile che un Movimento che ha perso la metà dei voti riesce a difendere tutte le sue bandiere, dal taglio dei Parlamentari ai decreti sicurezza e il Pd, in nome della cosiddetta responsabilità, è sempre in posizione subalterna?

La che ha elencato lei dovevano essere il piatto forte che metteva sul tavolo il Pd all'atto della formazione del governo, senza poi dimenticarselo dopo. Io sono tra coloro che pur non vedendo la perfezione dico che il governo sta governando una situazione complessa in modo accettabile, ma le forze politiche non possono essere prigioniere del contingente. Dall'emergenza non si esce con provvedimenti emergenziali, ma con u disegno. E questo disegno si fa fatica a vederlo.

di ALESSANDRO DE ANGELIS