Certo da un Paese che nel 2018 ha votato per un terzo i seguaci di un comico c’è da aspettarsi di tutto. Ma che la proposta sulla riduzione dei parlamentari potesse arrivare addirittura al referendum, francamente è disarmante e pericoloso assieme. Quello che sconcerta, infatti, non è il principio di cambiare una Carta come quella nostra, che da tempo è largamente disattesa, diversamente rispettata, trascurata e utilizzata per demagogia.

Sconcerta l’ignoranza, la sottocultura, la superficialità di troppa gente. In Italia da decenni si parla di riforme. Questa espressione in politica è diventata l’equivalente dell’inflazione di Weimar. Non c’è partito che non la trasporti a vagonate per apparire più moderno sulla necessità di cambiare la Carta e il suo dettato. Eppure, di legislatura in legislatura, utilizzando male l’articolo 138, che dai costituenti fu inserito non per stravolgere la fonte, ma solo per eliminare gli articoli transitori, si sono inserite modifiche rabberciate, che hanno finito col peggiorare alcuni vulnus iniziali: Titolo V, docet. Perché sia chiaro: i padri della Legge delle leggi, non solo davano per scontato che solo una nuova Costituente avrebbe potuto riscrivere il dettato, ma mai avrebbero inserito l’articolo 138 se avessero immaginato come sarebbe stato utilizzato nel tempo dalla politica ipocrita e mediocre.

Per farla breve, dei padri della Repubblica tutto si può dire tranne che fossero capziosi, impreparati come è accaduto poi. Che piaccia o meno, gli uomini della Costituente furono scelti tra i più istruiti, migliori e competenti, tra quelli che, seppure ognuno a modo suo, all’Italia ci tenevano davvero. Dopodiché, molto si può dire dei limiti, delle vaghezze intellettuali, delle forzature ideali, di una Carta che è nata lunga, rigida e scritta, perché figlia dell’orrore nazifascista, del dramma di una dittatura che aveva condotto il Paese alla rovina morale e strutturale, di una guerra infame e maledetta. Tanto è vero che tra gli stessi costituenti furono avvertiti e segnalati, con discorsi accorati tanti dei dubbi e dei limiti scritti tra le righe che aprivano varchi rischiosi.

Basterebbe rileggere Piero Calamandrei solo per citare uno dei giuristi più grandi di sempre partecipanti all’Assemblea. Che la nostra Carta vada cambiata, aggiornata, meglio riscritta e forse anche nella prima parte, non c’è dubbio, non fosse altro perché da allora ad ora l’Italia è un altro mondo così come è diverso tutto ciò che le sta attorno. Basterebbe pensare alla giustizia, al lavoro, al bicameralismo perfetto, alla forma di Stato e di governo, all’architettura istituzionale, alla parte sul fisco e sull’economia, alla ratifica dei trattati visto che allora la Unione europea esisteva. Perché sia chiaro: se l’Italia è diventata un groviglio burocratico, una sorta di Repubblica giudiziaria dove i pesi e contrappesi sono  saltati, si firmano i trattati senza l’ok del Parlamento, i tempi sono eterni perché serve la sintonia perfetta tra le Camere, c’è il caos tra Regioni per i diversi statuti e i cittadini col fisco e con lo Stato sono sudditi, è proprio perché la Carta è stata solo rattoppata malamente.

Ecco perché è ora di dire basta ai rammendi demagogici, illusivi, pericolosi, la democrazia non vive di pezze a colori, di punizioni come il Colosseo dei gladiatori, di convenienze ipocrite, di vendette, ma di chiarezza, pluralismo, libertà e semplicità di procedure, pesi e contrappesi, separazione dei poteri, di giuste proporzioni, di garanzie per tutti a partire da chi sta indietro, di Stato di diritto, che coi soldi non c’entra un tubo. E allora vi chiediamo cosa c’è di tutto questo nel referendum scellerato dei grillini, cosa cambierebbe di ciò che non funziona e che fino ad ora ci ha esasperato e rallentato, quale semplicità e velocità ne uscirebbe rafforzata, quale pluralismo sarebbe potenziato e soprattutto quale procedura sarebbe semplificata e ammodernata?

E ancora vi chiediamo: quale migliore Italia uscirebbe col Sì al referendum, più forte con l’Europa? Meno succube della burocrazia? Più decisionista coi cittadini? Più garantista nel diritto pubblico e privato, civile e penale? Più snella nell’apparato statale? Più coordinata tra regioni? Più vicina ai contribuenti? Più rispettosa del No taxation without representation, che fu alla base della Rivoluzione americana e delle democrazie nel mondo? Ebbene: no, assolutamente No. L’Italia resterebbe tale e quale anzi peggiore. Perché meno rappresentanza vuol dire meno democrazia.

Con l’approvazione del referendum non si risparmierebbe se non spiccioli ridicoli, si consumerebbe il tagico imbroglio di pensare che punendo la politica si migliori la democrazia, si restringerebbe la capacità di scelta popolare, si aprirebbe un varco all’oligarchia dei nominati. Si consegnerebbe su un piatto d’oro ai partiti la facoltà di mandare in Parlamento non i più bravi, onesti e preparati, virtù peraltro in via d’estinzione, ma i più obbedienti, teleguidati, disoccupati plagiati dal compenso ricco, gregari selezionati ad hoc. Del resto, la democrazia vive di quantità, di moltitudine, di gran numeri. A restringerla come fa il referendum senza cambiare il resto, senza un riequilibrio del dettato solo per dare in pasto al popolino qualche scranno risparmiato. Per noi si tratta di un reato. Votate No per il bene dell’Italia.

ALFREDO MOSCA