Nel corso della storia i popoli si sono sempre spostati: guerre, carestie, disastri naturali, dittature, scarse opportunità lavorative. Abbiamo sempre avuto fenomeni migratori, più o meno grandi: la storia umana è anche la storia dei suoi movimenti, dei rapporti tra autoctoni e "stranieri". L’attuale crisi climatica giocherà un ruolo centrale in tutto ciò: inondazioni, uragani, incendi, siccità; innalzamento dei livelli dei mari, estremizzazione dei fenomeni atmosferici; malattie, scarsità di risorse; guerre. Tutti questi sono fattori che spingono le persone ad abbandonare le proprie case, e tutti questi sono anche gli effetti della crisi climatica. A subire le conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici saranno i paesi più poveri, specialmente il "Global South". Per questi paesi l’adattamento sarà troppo costoso, oppure fisicamente impossibile e la migrazione - sia all’interno della stessa nazione, sia verso altre nazioni - sarà, molto spesso, l’unica soluzione possibile alla lotta per la sopravvivenza; con conseguenze politiche e sociali di dimensioni mai viste prima.

Il fenomeno è stato analizzato in un recentissimo studio, chiamato "Future of the human climate niche" il quale dimostra come – a seconda dell’aumento della popolazione e delle temperature – le persone che si troveranno a vivere fuori da quella fascia climatica dove la vita umana può prosperare (e dove ha prosperato per migliaia di anni) saranno da uno fino a tre miliardi. Continuando con l’attuale, miope,"business as usual" nei prossimi cinquanta anni questa zona, favorevole alla vita e allo sviluppo della civiltà, si sposterà di più di quanto non abbia fatto negli ultimi seimila anni. La percentuale della superficie terrestre, al 2070, dove le temperature medie annuali superano i 29 gradi sarà 15 volte più estesa: si passerà infatti da un poco rilevante 0,8% delle terre emerse (principalmente in aree disabitate del deserto del Sahara) a circa il 19%; già dal 2050 un miliardo di persone potrebbero trovarsi fuori da questa fascia. In molte di queste aree, nel periodo estivo, perfino per le persone più resistenti (giovani, atleti, persone senza problemi di salute, etc...) stare fuori anche poche ore sarebbe una sentenza di morte senza possibilità di appello.

Superare la famosa soglia dei +1,5 gradi – pur rimanendo sotto i +2 – significherebbe aumentare di centinaia di milioni le persone esposte agli enormi rischi sociali, politici ed economici collegati al riscaldamento globale. Come i governi, e in primis i nostri – maggiori responsabili della crisi climatica che stiamo vivendo - decideranno di agire potrà farà la differenza tra il probabile collasso di intere società e il loro adattamento. Le migrazioni, tuttavia, resteranno spesso l’unica scelta possibile per assicurare la sopravvivenza; e queste avverranno, anche se dovessimo diventare 100% carbon neutral domani, motivo per il quale le nazioni ricche dovranno collaborare per affrontare la più grande crisi che l’umanità abbia mai affrontato. Uno dei primissimi passi? Riconoscere, a livello giuridico, lo status di migrante climatico e creare canali sicuri per gestire i flussi migratori. Non serve pensare troppo lontano nel tempo, però: le migrazioni causate dal cambiamento climatico sono già in atto, adesso.

L’abbiamo visto, in misura ristretta, questo inverno: con gli incendi in Australia. Ricordate? Migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni, per sfuggire alla potenza distruttrice del fuoco. L’abbiamo visto, inoltre, molto più recentemente in Bangladesh, Nepal e nel nord-est dell’India; dove gli sfollati, però, sono decine di milioni. Le nostre case sono in fiamme, sommerse, abbattute dagli uragani e dalle tempeste, inghiottite dai deserti. Azzerare le emissioni climalteranti è una sfida enorme, ma le conseguenze dell’inazione saranno sicuramente maggiori, un mondo alternativo non solo è possibile; ma anche necessario.